Il mio 11 settembre.

Era stata una mattina pesante e, dopo aver lavato i piatti e sistemato la cucina mi ero messa sul divano , davanti al televisore, per riposare un po’. Sullo schermo apparve l’ immagine di  grattacieli che stavano bruciando. “Oh, no – mi son detta – non  ho voglia di vedere uno dei soliti film catastrofici” e cambiai canale, ma anche lì c’ era la stessa immagine….  e bastarono pochi secondi per capire che era tutto vero: le torri gemelle stavano bruciando colpite da due aerei.  Fui presa da un’ angoscia terribile : chi poteva aver pensato un attacco tanto spaventoso? Quante persone stavano in quel preciso momento morendo in un modo orribile? Cosa sarebbe successo di lì a poco? Stava forse per scoppiare una guerra?

Mia figlia , proprio in quel momento era all’ aeroporto e stava per ripartire per l’ Inghilterra , ma i notiziari parlavano di chiusura degli aeroporti, cosa poteva accadere?

Andai a chiamare i miei familiari  e divisi con loro le mie paure …. Le immagini intanto diventavano sempre più atroci e diventava via via più evidente che eravamo dinanzi a un fatto che avrebbe segnato la storia.  Verso sera riuscii a parlare con mia figlia: non sapeva ancora nulla; la partenza dell’ aereo era stata ritardata , ma nessuno aveva spiegato il perchè, ma poi il volo e l’ atterraggio erano stati del tutto normali…. tirai un sospiro .

A distanza di nove anni quel giorno rimane nella mente di tutti quelli che lo hanno vissuto  e in tutti, penso, si riaffacciano ogni tanto degli interrogativi sui molti punti oscuri  di un avvenimento che ha causato lutti infiniti.

Ricordando mio padre.

foto-di-famiglia-1995-001Mio padre è nato il 2 agosto 1906 e oggi voglio ricordare il suo compleanno parlando di lui.

A lui sono grata  per le tante volte in cui, da piccola, mi ha tenuto sulle ginocchia mentre faceva qualche solitario con le carte o quando, la sera dopo cena, faceva qualche partita a briscola con i vicini.

In quelle occasioni, spesso , parlando del più e del meno, si arrivava a raccontare episodi della guerra finita da poco e, in tutto il dolore che affiorava da quei racconti, arrivava sempre il punto in cui mio padre e uno dei vicini, per alleggerire un po’ l’atmosfera, parlavano di un episodio da loro vissuto direttamente.
Era l’Aprile del ’45 e per punire non so quale azione di sabotaggio c’era stato un rastrellamento. Mio padre e il nostro vicino, insieme ad altri, erano stati costretti a seguire una pattuglia armata che li portava verso Fabbrico. Mio padre e il vicino dovevano portare insieme anche una cassa molto pesante; mentre camminavano, mio padre sentiva battere contro la sua spalla qualcosa che non gli piaceva e che non lo faceva stare tranquillo: era la canna del mitra di uno degli uomini della pattuglia. Sudava freddo al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere  e quando non ne potè più disse al vicino: – Severino, questa cassa è molto pesante e mi fa tanto male la mano; cosa ne dici di scambiarci di posto?-
A quella richiesta tanto candida, Severino non poteva certo dire di no, ma ben presto ne capì il vero motivo !!!

Fortunatamente di lì a poco arrivò l’ordine di rimandare tutti a casa.
Poi si seppe che quel giorno era stato compiuto l’eccidio della Righetta: la sorte li aveva graziati !

Mio padre raccontava spesso anche un altro episodio, legato al suo daltonismo, che non gli permetteva di distinguere il colore rosso.

Quella mattina, prestissimo, era ancora buio, si era preparato per andare al mercato; aveva chiesto a mia madre una camicia pulita e  se l’era infilata di fretta.  Arrivato a destinazione e sistemata la sua mercanzia, si accorse ben presto di essere fatto segno di un’ attenzione insolita da parte dei frequentatori della piazza: si sentiva un po’ a disagio e non sapeva capacitarsi di quella situazione …. Finalmente un conoscente gli si avvicinò dicendogli : – Catlàn, ma t’a ghè propia un bel curag ….! ! – Mio padre ancora non capiva; chiese perchè mai gli avesse rivolto quelle parole e gli fu risposto che, in un tempo in cui imperversavano le camicie nere, ci voleva un coraggioso o un incosciente a esibirsi pubblicamente in camicia rossa !!!

Mio padre aveva creduto di indossare una camicia verde…

A pesca.

a pesca

I miei fratelli erano molto più grandi di me e non avevamo molte occasioni per fare delle cose insieme.
Ricordo però che tutti e due ogni tanto , in estate, mi portavano a pescare insieme a loro.

Tutto aveva inizio con la ricerca dei lombrichi, che dovevano fare da esca; si andava con la vanga nell’ orto o sulle rive di un fossatello vicino a casa.
Ricordo ora con un certo ribrezzo l’ apparire dei lombrichi lucidi e umidicci tra le zolle smosse; allora invece non mi facevo nessun problema a prenderli e a sistemarli nel barattolo che conteneva anche un po’ di terra.

Si partiva poi in bicicletta , io sulla canna, e si arrivava sulla riva di uno dei  canali  che percorrono la mia zona.
Mi piaceva stare seduta sul ciglio del canale ad aspettare che i pesci abboccassero, tenendo d’ occhio il galleggiante.
C’ era caldo e si sentivano solo i grilli , le cicale e il tonfo delle rane che si tuffavano in acqua, mentre l’ odore dell’ acqua melmosa ti riempiva le narici.

I miei fratelli mi avevano insegnato a innescare gli ami e a lavare poi le mani nell’ acqua del canale, a lanciare la lenza di una piccola canna senza rimanere impigliati nell’amo e a non lasciarsi prendere dall’ ansia di tirare su il pesce al più piccolo segnale di abboccamento, ma si doveva aspettare che il galleggiante andasse sott’ acqua: allora sì che potevi alzare la canna e sperare che ci fosse  attaccato un pesciolino.
Non mi faceva per niente pena vedere il povero pesce dibattersi mentre gli veniva tolto l’ amo dalla bocca; oggi sarei molto più compassionevole.
In genere si pescavano dei pescigatto o dei “gobbi” o altri pesciolini di minor pregio, che poi mia madre puliva e friggeva.
Andare a pesca, oltre che un divertimento ,era un modo per rimediare una cena gustosa.