Natale a scuola

A scuola il periodo del Natale era quello più frenetico: c’ erano sempre da preparare i lavoretti , le letterine o i biglietti , la poesia da recitare ai genitori, gli addobbi per l’ aula , il presepe e a volte ci si imbarcava anche nell’ allestimento di una piccola recita inframmezzata da canti tradizionali. Il tutto poi non doveva andare a scapito delle normali attività curriculari. Era certo una gran fatica, ma il tutto contribuiva a creare quell’ atmosfera di festa che rendeva felici i bambini, almeno quelli che potevano permetterselo; infatti ricordo che in una classe c’ era una bimba, figlia di unaTestimone di Geova che restava sempre assente nel giorno degli scambi degli auguri , ma questo succedeva anche a Carnevale ad esempio: il problema non era la differenza di credo religioso, era la festa in sè che era considerata “peccaminosa” .  Mi ha sempre fatto molta tristezza vedere quella bimba costretta a sentirsi diversa dagli altri….

http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/12/15/news/l_asilo_multietnico_ci_ripensa_la_festicciola_di_natale_si_far-10247606/?ref=HREC1-5

Per ovviare al problema delle culture diverse, in una scuola milanese le maestre avevano deciso di abolire proprio la celebrazione del Natale, visto che la maggioranza degli alunni è di origine straniera; ora ci hanno ripensato e hanno fatto bene: è un’ occasione per far avvicinare i bambini, figli di immigrati, alle tradizioni del paese in cui vivono .

Non c’ è bisogno di imporre nessun dogma di fede, solo di far capire cosa succede attorno a loro.

Non vorrei essere maligna, ma quanto ha influito sulla prima decisione di quelle maestre il desiderio di sottrarsi a una serie di impegni faticosi col pretesto della multiculturalità?

La stufa a legna.

stufa a legnaEra nell’ angolo opposto al caminetto e, nello spazio che la separava dal muro esterno, veniva riposta la legna: ceppi spaccati con la scure  e stecchi sottili  che si andavano a raccogliere in campagna dopo la potatura o quando veniva abbattuto qualche albero e se ne facevano fascine.
Il piano superiore era in ferro e presentava tre gruppi di cerchi concentrici che venivano tolti per regolare la larghezza del “contatto” col fuoco vivo a seconda della dimensione della pentola.
Sulla facciata anteriore si apriva lo sportello che chiudeva il vano-fornace, sotto c’era uno sportello più piccolo attraverso il quale veniva estratta la cenere e di fianco si apriva il forno.
Nella parte più bassa c’era un vano vuoto in cui mia madre a volte metteva anche le pantofole perchè si scaldassero.
Di fianco al piano cottura c’era un contenitore in rame sempre pieno d’ acqua calda,  pronta per tutte le necessità.
Il tubo di scarico, che attraversava buona parte della stanza per ottimizzare la resa della stufa, presentava ad altezza d’uomo (ma sarebbe meglio dire ad altezza di donna) un anello di ferro munito di tanti raggi che potevano essere alzati o abbassati : su di essi venivano appesi mestoli e schiumarole o i panni  da asciugare quando fuori pioveva .
Sul piano cottura arrostivamo le castagne o le fette di polenta avanzata dal giorno prima e nel forno ogni mattina la mamma  (che si alzava prestissimo per accendere il fuoco) metteva l’uovo che dovevamo sorbirci prima di andare a scuola o le mele da cuocere: non sono più riuscita a mangiare mele cotte buone come quelle.

Solo la cucina veniva riscaldata. Le stanze da letto erano molto fredde e così anche le coperte del letto, perciò ecco che dalla stufa, verso sera si estraeva la brace. Con essa si riempivano dei piccoli contenitori (padlèni) foderati di cenere , che venivano inseriti nel prét (una struttura in legno adatta a sollevare le coperte , che non dovevano venire a contatto con le braci.
Quando si tornava a casa coi piedi intirizziti dal freddo, la mamma ci faceva togliere le scarpe e ci faceva appoggiare i piedi sullo sportello più basso e al tepore che ne usciva ti sentivi rinascere.