La signora Felicita.

Quando la mattina mi svegliavo presto per  prendere il treno per andare a scuola, cercavo sempre di ritagliarmi alcuni minuti di dormiveglia, in cui godermi il tepore delle coperte, prima di saltare giù dal letto. In quei momenti accadeva sempre la stessa cosa  che mi faceva capire quale tempo stesse facendo fuori, anche senza aprire la porta-finestra che dava sul balcone.

Prima era il rumore secco di una serratura , poi lo sbattere del cancello della casa di fronte, poi si udivano dei passi decisi e ben cadenzati: se risuonavano in modo eccessivo, voleva dire che la strada era gelata, se si sentivano normalmente il tempo era buono o pioveva, se erano accompagnati da un inconfondibile scricchiolio era caduta la neve. A fornirmi  questo bollettino meteorologico inusuale era la signora Felicita, che ogni mattina, con qualunque tempo , a quell’ ora si recava alla Messa .

Era una donna tanto  piccola e  minuta, che mia madre la chiamava “Felicin” . Aveva il viso incavato e i capelli grigi sempre ben ordinati in una piccola crocchia sulla nuca. Era già anziana, ma non rinunciava mai a portare le sue immancabili scarpette col tacco ed era questo che rendeva i suoi passi così “sonori”.

Viveva con la sorella, di poco più giovane . Era stata sposata , ma non aveva avuto figli ; suo marito  l’ aveva  lasciata sola ed era già morto al tempo di cui sto raccontando. Nonostante questo, so che ogni anno, quando ricorreva l’ anniversario della morte del marito, faceva sempre celebrare una messa a suffragio della sua anima: certo l’ aveva perdonato e gli voleva ancora bene. Risparmiava su tutto, non per avarizia, ma per poter fare beneficenza ad ogni occasione.

Si dava un gran da fare ad aiutare in parrocchia, che era diventata per lei forse un sostitutivo della famiglia che non aveva più. Aveva sempre il sorriso pronto, anche se talvolta non esitava a dispensare consigli e critiche non richiesti.

Ricordo, ad esempio, che una domenica d’ estate, io avevo messo il vestito della festa, come si usava allora. Era un abitino bianco con profili blu e rossi e la gonna  poco sopra al ginocchio, come imponeva  la moda che si era affermata in quel periodo. La signora Felicita mi fermò lungo la strada e mi fece osservare che sarebbe stato meglio allungarla un po’….Lì per lì ci rimasi un po’ male, ma riuscii a replicare che io compravo gli abiti nei negozi, non me li cucivo io, e quindi non potevo fare altro che scegliere tra ciò che veniva esposto  e il vestito che indossavo non aveva nemmeno un orlo da poter disfare.

La signora Felicita parve capire, anche se non era  soddisfatta temendo che potessi dare il cattivo esempio ….. Non me la presi, perchè ero ben consapevole che la mentalità degli anziani  portava a vietare l’ ingresso in chiesa alle bimbe che indossavano vestiti con maniche troppo corte o che non avessero il velo in testa…..

Ci volle ben poco però perché si affermasse il diritto di portare le gonne corte, visto che tutte le ragazze vestivano così.

Quando la mattina mi sveglio e resto a poltrire un po’, accendo la radio  per sentire le notizie di cronaca e del meteo e spesso mi ricordo di quel rumore di passi ….