Ute: Manzoni e i cori delle tragedie ( Diana)- Chabod (terza parte – Angela D’Albis))

Don Ivano ci propone oggi l’ultima  riflessione sulle opere minori di Manzoni. Le tragedie sono state un vero insuccesso sia come spettacoli teatr ali, sia come opere letterarie e come tali sono state subito stroncate dalla critica. Anche Manzoni riconobbe il suo  fallimento in questo genere e da allora cominciò a dedicarsi al suo romanzo.  Per capire i motivi che lo avevano indotto a scrivere le sue tragedie, bisogna riandare al periodo storico in cui sono state scritte: dal 1816 ai primi anni venti. Dopo il Congresso di Vienna del 1815, in Italia era stato restaurato l'”Ancien Régime”, e nei vari stati in cui era divisa erano tornati gli antichi sovrani, sotto il controllo diretto o indiretto dell’Austria. Si respirava pertanto un’aria di profonda delusione.

Manzoni sapeva  di non poter polemizzare apertamente contro il potere costituito, perchè sarebbe incorso nella censura e volendo  comunque esprimere la sua critica politica, scelse di farlo attraverso le tragedie che gli consentivano, proprio attraverso i cori, di commentare i fatti scenici e, nello stesso tempo, di far riflettere sulla situazione politica del suo tempo. Perchè le parole del coro fossero più facilmente memorizzate e interiorizzate dal pubblico, dovevano avere un ritmo orecchiabile, quasi musicale e a questo si deve la scelta di scrivere in versi  decasillabi sciolti. In Italia comunque il sentimento nazionale non si era ancora diffuso tra la gente e solo una ristretta élite di intellettuali cominciava a sentire il peso della dominazione straniera e per questo diede vita alle sette segrete.

coro di ErmengardaNel coro del Carmagnola,  Manzoni rappresenta la condizione miserevole dell’Italia divisa e in preda a continue guerre fratricide; nel primo coro dell’Adelchi è invece protagonista il popolo che si risveglia come da un antico torpore e ritrova la sua fierezza; nel coro che parla di Ermengarda morente, la giovane donna assurge al ruolo di simbolo della sofferenza di tante donne nella storia dell’umanità, vittime di sopraffazioni e di ingiustizie in ogni tempo. (Diana)

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Il professor Cossi riprende la sua lezione su Federico Chabod e oggi ci parla di “Chabod tra storia e politica”.

Si sofferma ancora sul soggiorno berlinese del giovane storico italiano che si reca in Germania tra il 1925 e il 1926. Chabod, pur avendo solo 25 anni, è già laureato e insegna alla scuola media superiore. Vince una borsa di studio presso l’Università di Berlino. Questo soggiorno berlinese gli permette di migliorare il suo tedesco, ma gli dà soprattutto la possibilità di poter studiare con gli storici più importanti del periodo.

Subito lo colpisce lo “stacanovismo” dei tedeschi che lavorano incessantemente con ritmi impressionanti, ritmi che non ci sono in Italia.  Nota che questi ritmi di lavoro esagerati sono anche una caratteristica del mondo accademico. A Berlino, Chabod conosce e si lega a Bachmann, storico medievista famoso, ma non grandissimo, secondo Chabod.

Tuttavia, lo storico italiano ammira in Bachmann la capacità di essere “multidisciplinare”, cioè di far dialogare la sua materia di studio (la Storia) con le altre discipline (la letteratura, la psicologia ecc.). A Berlino, Chabod segue anche i seminari di Friedrich Meinecke, storico tedesco di primo piano. Nel periodo di permanenza a Berlino, Chabod è anche corrispondente per il quotidiano “La Stampa”.

Il docente passa poi a illustrare la situazione della Germania dopo la “Prima guerra mondiale” e nel periodo del soggiorno berlinese di Chabod.  Ci racconta che la Germania, avendo perso la guerra, si aspettava però una pace “onorevole”. Invece le fu richiesta una resa senza condizioni.

Quando i Tedeschi andavano a comprare il pane con cesti al posto dei portafogli: un chilo di pane costava miliardi di marchi
Quando i Tedeschi andavano a comprare il pane con cesti al posto dei portafogli: un chilo di pane costava miliardi di marchi

Il trattato di Versailles aboliva la coscrizione militare in Germania ponendo grosse limitazioni alle forze armate tedesche, che non dovevano superare le 100.000 unità. Inoltre, alla Germania fu imposto il pagamento agli stati dell’Intesa di una indennità di guerra salatissima, una cifra enorme. Si chiedeva, anche, che la Germania cedesse tutte le colonie, accettasse per sé tutta la colpa per la guerra, riducesse le dimensioni delle sue forze armate e cedesse territori a favore di altri Stati. In questa Germania in ginocchio, vanno al governo i social-democratici (forza di sinistra, ma senza i comunisti). Finisce l’Impero tedesco e nasce la Repubblica di Weimar, che prende il nome dalla città di Weimar in cui si tenne un’assemblea nazionale per creare una nuova Costituzione.

Durante questa repubblica nasce il mito della “pugnalata alla schiena”, mossa propagandistica con la quale i nazionalisti tedeschi addossano le colpe della perdita della guerra ai politici che firmarono il trattato. In questo clima, Hitler non fa fatica a salire al potere e, legalmente eletto nel 1934, diventa Presidente della Repubblica e instaura la dittatura.

Ai tempi di Chabod, però, ci dice il professore, non c’è ancora tutto questo, ma a Berlino si vive un clima di tensione. Nel 1930 Chabod torna in Italia, si sposa e continua ad insegnare alle scuole medie superiori dove impara l’arte della “comunicazione” del sapere. Per insegnare non bisogna soltanto conoscere bene la propria materia, ma anche saperla trasmettere. Poi, diventa docente universitario. Chabod è uno storico scrupoloso, scrive e pubblica poco, proprio per la sua precisione. Nella vita normale è una persona espressiva, che riesce a creare delle buone relazioni.

Il professor Cossi termina la lezione sottolineando la capacità di Chabod di saper prestare attenzione alla psicologia dei personaggi che studia e di far interagire la Storia con le altre discipline.

Con questo ci saluta e rimanda alla prossima e ultima lezione che si terrà nel mese di gennaio. Grazie professor Cossi per questa bella e intensa lezione! (Angela D’ Albis)