Una foto, una carezza….

Nella cupa tristezza di questi giorni in cui arrivano solo notizie dolorose, stamattina sono stata svegliata da un raggio di sole: un ricordo lontano mi è stato riportato alla mente da una vecchia foto, inviatami da una cara vecchia compagna di scuola.

1958 in montagna con Franca e LucianaEravamo alla fine degli anni 50 del secolo scorso (1957 o 1958?).  In parrocchia ogni anno si faceva l’esame di catechismo, alla presenza di un sacerdote della diocesi.  Una volta venne don Tassi: alto, magro, pallido, ma dal sorriso dolcissimo; sapeva parlare al cuore e vedere nelle anime. Non so se fu proprio in quell’anno  che il nostro parroco, don Marri, decise di premiare chi si era mostrato più preparato con un contributo per poter partecipare a una vacanza a Ponte di Legno,  promossa dall’Azione Cattolica diocesana. Partimmo in due: Luciana ed io.

Alloggiammo in un albergo (si chiamava forse “Albergo delle Alpi) e  in camera con noi due c’era anche Franca,  ed è lei che mi ha mandato questa foto, scattata probabilmente durante un’escursione (forse al Passo del Tonale ?)

Che tenerezza! Non si usavano ancora le giacche a vento e per ripararci usavamo mettere in testa un foulard .  Portavamo tutte i capelli corti, forse perchè era più facile tenerli in ordine. Io non avevo nemmeno dei pantaloni: certamente i miei non avevano potuto dotarmi di un abbigliamento da montagna, era già un lusso straordinario poter avere questa vacanza che certamente è stata un momento importante nella mia  adolescenza.

Ringrazio vivamente Franca per avermi mandato questa foto, che io non avevo mai visto e che mi ha fatto tornare indietro nel tempo: richiamare certi ricordi  è come farsi una carezza, come vedersi da lontano con dolcezza rinnovando l’affetto per chi ha condiviso con noi un tratto della nostra vita.

Grazie, Franca!

 

Papa Francesco è con noi sulla stessa barca….

Copio da Avvenire:

«Da settimane sembra che sia scesa la sera… presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati… ma tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti». Le parole di papa Francesco risuonano davanti alle deserte braccia del colonnato di San Pietro bagnato dalla pioggia. Nel silenzio vuoto della piazza, dal sagrato della Basilica vaticana, come aveva annunciato, il Papa ha dato questa sera un appuntamento mondiale chiedendo a tutti i fedeli di unirsi spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione. Per dare voce a una invocazione comune in questo tempo di emergenza sanitaria di dimensioni planetarie.

Un’ora non ordinaria di preghiera, con l’ascolto del Vangelo, la supplica davanti al Santissimo Sacramento esposto sull’altare nell’atrio della Basilica e infine, con la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria, anche il rito della benedizione eucaristica “Urbi et Orbi”, come a Natale e Pasqua, perché possa rinfoderare la sua falce la spietata pandemia del Covid-19 in atto nel mondo.
Nella sue parole papa Francesco ha ripreso il noto episodio raccontato nel Vangelo di Marco, quello di Gesù che calma la tempesta. «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città – ha commentato – si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi.

Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti – afferma ancora il Papa – come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa». Ha poi parlato di come questa tempesta abbia smascherato e lasciato scoperte le false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito «le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità… i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine» e ha lasciato «scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».

E riprendendo ancora il passo evangelico: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» papa Francesco si è soffermato su quel «Non t’importa» detto dai discepoli pensando «che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro». «Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore – ha spiegato il Papa – Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati».

Il Vangelo, come ha evidenziato il Vescovo di Roma, chiama adesso a cogliere questo tempo di prova come «un tempo di scelta». Non è – ha affermato – il tempo del giudizio divino, «ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita».

«È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: “che tutti siano una cosa sola”».

«Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza – sottolinea nella sua meditazione il Papa – avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti».

Ansa

Accanto a se Francesco ha voluto l’icona originale della Salus Populi Romani, la nota venerata effigie mariana della Basilica di Santa Maria Maggiore che la tradizione vuole realizzata da san Luca e il Crocifisso dei Miracoli di san Marcello al Corso, alla cui intercessione prodigiosa si attribuisce la sconfitta del flagello della peste che nel 1500 mise in ginocchio non solo la Città Eterna. E che è diventato oggi il simbolo della pandemia del Coronavirus, dopo l’atto di devozione compiuto da Papa Francesco il 15 marzo scorso. La supplica si è così conclusa con una particolare benedizione dal luogo «che racconta la fede rocciosa di Pietro». Da qui – ha detto il Successore di Pietro – vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori… non lasciarci in balia della tempesta».