Film: Taxi Teheran.

Penso che  Jafar Panahi, regista iraniano, abbia preso spunto da “Il tassinaro” di Sordi. Il regime iraniano gli ha ingiunto di non fare più film per vent’anni? Bene, lui girerà un film nel chiuso di un taxi.

E’ così che, girando per le vie di Teheran, accoglie sul suo taxi persone di varia estrazione sociale e culturale: un uomo favorevole all’estensione delle condanne a morte e un’ insegnante che lo controbatte; un uomo che va a vendere dischi e film proibiti a domicilio; due anziane signore vittime della superstizione; un uomo che è stato derubato, ma non denuncia chi lo ha aggredito, pur avendoli riconosciuti, perché sarebbero condannati a morte; un’attrice che vende fiori perché condannata dal regime a non esercitare più il suo lavoro; un uomo ferito in un incidente che vuole ad ogni costo registrare le sue ultime volontà per impedire che, in caso di sua morte, la moglie venga spogliata di ogni avere;  una bambina che deve girare un filmato come compito scolastico, ma l’insegnate le ha dettato le regole da seguire: non deve mostrare cose sgradite al governo e deve quindi autocensurarsi.

Dalle conversazioni tra tassista e passeggeri, esce il quadro delle condizioni di repressioni in cui si vive in Iran e gli spettatori si rendono conto di quanto coraggio occorra per continuare a opporsi. C’è da dire che il film è stato girato nel 2015 ed è quindi immaginabile che oggi la situazione sia molto peggiorata, con le proteste di piazza guidate dalle donne in rivolta da molti mesi e con i tanti processi sommari seguiti da impiccagioni.

I tanti premi vinti da questo film sono ben motivati: all’inizio, se uno non sa come è stato girato, sembra un po’ noioso anche perchè non è doppiato e si fa fatica a seguire i sottotitoli, poi man mano che ci si rende conto di cosa viene raccontato, ci si sente sempre più coinvolti.

Visione ampiamente consigliata su Raiplay.