” I Vicerè”.

Una scena dal film tratto dal romanzo "I Vicerè"

Stanotte ho finito di leggere “I Vicerè” di De Roberto, un romanzo che parla delle vicende di una nobile famiglia siciliana nel trentennio che segue l’ unificazione dell’ isola con il Regno d’ Italia.

E’ stato interessante riscoprire le terribili logiche che guidavano la vita di questi clan familiari, nei quali il destino dei figli nascituri era già prima del parto deciso dai genitori, con l’ unico obiettivo di preservare l’ unità del patrimonio familiare e quindi la potenza del casato. Così ai primogeniti doveva essere assegnato ogni privilegio, mentre gli altri figli erano destinati al convento o a una vita a volte miserevole.

E’ stato anche interessante entrare nella vita dei monasteri in cui venivano relegati i rampolli cadetti : erano persone che non avevano mai avuto nessuna vocazione religiosa e che quindi cercavano di concedersi ogni soddisfazione terrena consentita dall’ unico obbligo di mantenere le apparenze e di difendere i privilegi di cui godevano anche all’ interno del convento.

Interessante anche seguire le varie acrobazie politiche di chi, nel casato si occupava di politica e vedeva nei mutamenti sociali del momento un pericolo da cui difendersi soltanto adeguandosi, anche a costo di vivere una situazione schizofrenica tra ciò che suggeriva la propria convinzione personale, maturata in tutto il proprio percorso di vita, e le idee di democrazia che si venivano affermando e che quindi andavano sostenute nelle situazioni pubbliche. Il tutto naturalmente al solo scopo di conservare in modo gattopardesco il potere e l’ influenza della famiglia e del proprio ceto nel contesto sociale e nel territorio: così tutto sembrerà cambiare in modo vorticoso in apparenza per restare profondamente uguale a sempre nella sostanza.

La lettura non è stata sempre agevole, visto lo stile ottocentesco dell’ autore, ma in compenso il quadro storico sottostante le vicende dei protagonisti ha tenuto desta la mia attenzione e mi ha “costretta” a leggere fino all’ ultima pagina.

War games…..in miniatura.

Questa mattina i cuccioli si sono cimentati nel montaggio di un robot della lego (un altro uguale era stato montato ieri – entrambi dono di Babbo Natale)) : hanno lavorato insieme per oltre un’ ora in perfetto coordinamento e, senza bisogno di nessun aiuto, hanno completato la costruzione del mostro, che non era affatto semplice.

Ora sono sdraiati sul pavimento a combattere con i loro mostri, che parlano lingue incomprensibili.

E’ così bello vederli giocare insieme e spero che da grandi ricorderanno questi momenti di serenità e continueranno a cercarsi come ora.

Roba da cuccioli. :-)

Il gioco preferito dei due cucciolotti di famiglia è senz’ altro la simulazione della lotta.

Ieri, appena si sono visti si sono scatenati: aspettavano questo momento da quattro mesi!!!! Nonostante si siano  ammaccati sbattendo qua e là a più riprese e nonostante i rimproveri di noi “grandi”, hanno continuato a far finta di malmenarsi fin verso sera, quando mi son vista arrivare Samuele che in gran segreto mi stava mostrando la bocca insanguinata e mi diceva: – Nonna, mi è caduto un dente, ma non so dove è andato a finire..!!- E gli stavano venendo le lacrime agli occhi, non tanto per il dolore quanto perchè la perdita del dentino poteva compromettere il dono della fata dei denti….(da un po’ di tempo ogni volta che vedo i miei cuccioli,c’ è sempre uno di loro perde un dente!!!)

Subito l’ ho portato a sciacquarsi la bocca e intanto abbiamo sentito Elisa gridare:- Davide, che schifo!!! Hai un dente conficcato nei pantaloni!!!- Era proprio così e fortunatamente, con grande sollievo di Samuele, abbiamo recuperato il dente caduto sul campo di battaglia!!!   :-)))

 

Buon Natale 2014.

Dedico ai miei quattro nipotini( in particolare al più piccolo che festeggerà il suo primo Natale) questa semplice poesia di Pezzani, augurando a loro e ai loro genitori un Natale sereno, che sia per tutti noi  un momento di gioia nel ritrovarci tutti insieme  ancora una volta. Auguro inoltre buon Natale anche a tutti coloro che continuano ad onorare questa pagina della loro attenzione.

NA TALE di Renzo Pezzani

Nato Gesù, Maria se lo guardava
che così bello non l’immaginava.
Giuseppe accese un focherello e disse
che lo scaldava perché non patisse.
La stella d’oro si fermò sul tetto
e si mise a cantare un angioletto;
e il pastore si mise a camminare
e tutto il gregge dietro a scampanare.
Dicevan tutti: « Un bimbo così bello
chi non vorrebbe averlo per fratello? »
Maria se lo fasciava con amore
perché era il suo Figlio e il suo Signore.

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Non solo regali….

Ecco un altro racconto di Natale, che deve farci riflettere…Dedicato alle persone che trascorreranno il Natale in solitudine.

“Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.

«Avanti», disse una voce dall’interno.
Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d’ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c’era un vecchio.

«Guardi che stupendo pacco di Natale!» disse allegramente il postino.
«Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
«Non c’è amore dentro»

Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l’aria di spassarsela male. Allora, perché era così triste?
«Ma, signore, non dovrebbe fare un po’ di festa a questo magnifico regalo?».

«Non posso… Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».

«Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente. Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.

«Ma … » fece il postino. Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
«Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
«No», disse mestamente il vecchio. «Non c’è amore dentro».”

Tratto da  menocinque.htm

Che ogni nostro regalo fatto o ricevuto  contenga un po’ d’ amore….

Solstizio d’ inverno.

Per chi come me non ama le buie giornate di questo periodo dell’ anno….

Solstizio d’ inverno: è come arrivare sulla cima della montagna e da lì guardare in basso…..La discesa può apparire rischiosa, ma la vetta è già stata conquistata.

Una sera a teatro: Variazioni enigmatiche (di E. E. Schmitt)

E’ una strana storia , la cui protagonista principale non entra mai in scena, e nella quale , quando si pensa di aver capito come stiano le cose, tutto cambia all’ improvviso, facendo intravedere scenari e realtà impensate.

Uno scrittore famoso e misantropo vive da solo su un’isola sperduta e parrebbe dedito a fugaci passioni carnali, invece si viene a scoprire che ha scelto la solitudine per preservare dall’ usura della quotidianità un  amore giovanile per una donna con la quale ha intrattenuto un pluriennale rapporto epistolare molto intenso. Un giornalista viene a fargli un’ intervista, ma poi si scopre che non è un giornalista , ma un maestro di musica che ha sposato la donna di cui lo scrittore è innamorato. Ogni colpo di scena viene anticipato dall’ ascolto di un disco intitolato appunto “Variazioni enigmatiche” e il dialogo tra i due personaggi  diventa sempre più incalzante fino a far scoprire verità impreviste , che portano a concludere che l’ amore ha infinite varianti e variazioni, ma è sempre degno di rispetto e di apprezzamento quando è  sincero e disinteressato.

Gli interpreti mi erano del tutto sconosciuti, ma ora posso dire che Saverio Marconi e Gian Paolo Valentini sono due bravi attori teatrali.

Il Natale di Martin (di L. Tolstoj)

Il Natale di Martin

di Leone Tolstoj

 

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
– Non ho più desiderio di vivere – gli confessò. – Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati… Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All’improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c’era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: – Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L’indomani mattina Martin si alzò prima dell’alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. – Entra· disse – vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
– Che Dio ti benedica!-  rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
– Non è niente – gli disse Martin. – Siediti e prendi un po’ di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all’ospite. Stepanic bevve d’un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po’. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
– Stai aspettando qualcuno? – gli chiese il visitatore.
– Ieri sera-  rispose Martin – stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: “Guarda in strada domani, perché io verrò”.
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. – Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l’anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po’ di pane e della zuppa. – Mangia, mia cara, e riscaldati –  le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: –  Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. – Ecco – disse. –  È un po’ liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. – Che il Signore ti benedica.
–  Prendi – disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un’ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po’, vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all’altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. – Lascialo andare, nonnina – disse Martin. – Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. – Chiedi perdono alla nonnina – gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: – Te la pagherò io, nonnina.
– Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato – disse la vecchia.
– Oh, nonnina – fece Martin – se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
– Sarà anche vero – disse la vecchia – ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. – Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l’ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all’orecchio: – Martin, non mi riconosci?
– Chi sei? – chiese Martin.
– Sono io – disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
– Sono io – disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
– Sono io – ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.