Ricordi in libertà…

Qualche anno fa, percorrendo la Pianura  Padana, mi si stringeva il cuore nel vederla così spelacchiata: l’ introduzione delle macchine agricole aveva indotto gli agricoltori a estirpare tutte quelle siepi e quegli alberi, spesso anche improduttivi, che un tempo dividevano i vari campi  o delimitavano il confine tra una proprietà e l’ altra. D’ estate la pianura aveva solo qua e là qualche macchia verde e appariva come  una triste landa battuta dal sole implacabile . D’ inverno , dopo una nevicata, pareva di attraversare la steppa russa : era una sconfinata distesa bianca che si perdeva fino all’ orizzonte desolatamente piatto. Recentemente ho notato una certa inversione di tendenza e ricominciano a comparire le siepi  lungo i  fossi e alberi spontanei che riuniti in boschetti interrompono la monotonia dei fruttetti e dei vigneti con le loro piantine tutte perfettamente allineate e tutte della stessa misura.

Molti anni fa, quando il massimo della tecnologia era la trebbiatrice sull’ aia, vicino a casa mia c’ era un filare di meli molto alti (per questo non vengono più coltivati) dai frutti piuttosto piccoli e dalla polpa croccante : essi venivano per lo più cotti al forno in inverno o usati , opportunamente trattati, per farcire dolci casalinghi. Gli scarti di questa produzione venivano dati alle mucche.

Io penso spesso a quel lungo filare (che certo ora nessuno ricorderà nemmeno più) perchè era il luogo in cui ci davamo convegno noi bambini. Gli alberi alti ombreggiavano una striscia di prato spontaneo ed era lì che ci sedevamo a parlare o a fare il gioco del fazzoletto ; lì sotto giocavamo a bandiera e gli alberi ci offrivano ottimi rifugi per giocare a nascondino. Sul viottolo sterrato che si snodava lì accanto, spesso i maschi giocavano a pallone o rincorrevano un vecchio cerchione di bicicletta. Ricordo ancora il profumo dell’ erba su cui facevamo le gare di capriole. Spesso poi ci dedicavamo all’ assaggio dei frutti ancora acerbi : come scordare il sapore aspro delle mele o delle albicocche appena formate, o quello degli acini d’ uva che schiacciati sotto i denti ti facevano venire i  brividi … al solo pensarci mi viene ancora l’ acquolina in bocca. Quando le spighe di grano cominciavano a imbiondire ,  ne prendevamo una e la schiacciavamo a lungo tra le mani con un movimento simile a quello delle macine; quando i chicchi di grano uscivano dal loro involucro, con un soffio facevamo cadere la pula e ce li mangiavamo : erano gustosi, anche se un po’ “papposi”.

 Le mamme sapevano che, se non ci vedevano attorno a casa, dovevamo essere lì: “sòta ai pom” (sotto i meli) e allora si affacciavano alla finestra e ci chiamavano a gran voce.