E’ tempo di resistere…..

Lo so, le disposizioni di governo nazionale e regionale consigliano a quelli della mia età di stare in casa, ma certe volte non si può evitare di uscire ed è quello che ho fatto questa mattina sfidando le ordinanze e il freddo di una giornata grigia.

Per le strade poca gente, ma tra i rari passanti ecco una faccia nota: un’amica che non vedevo da tempo. Mantenendo la distanza di sicurezza consigliata, abbiamo fatto un tratto di strada  scambiando qualche considerazione sul triste momento che stiamo vivendo e ci siamo salutate augurandoci di rivederci presto a emergenza finita.

Ho poi attraversato il mercato quando già molti ambulanti, data l’ora tarda, stavano smobilitando i loro banchetti e sono arrivata nel begozio che era la meta della mia uscita. Mentre guardavo la merce in esposizione, aspettando di essere servita, non ho potuto fare a meno di ascoltare una conversazione  che mi ha un po’ rattristato: il gestore del negozio, parlando con una cliente, diceva che molto probabilmente sarà  costretto a chiudere l’attività entro breve tempo, nel migliore dei casi potrà resistere fino a fine anno.

Quanti altri commercianti saranno nelle stesse condizioni? Quante imprese dovranno arrendersi di fronte alle difficoltà di questo momento?

Gli Italiani sono un popolo strano: in tempi di ordinaria quotidianità dimostrano tutti i loro difetti (individualismo esasperato, scarsa considerazione del bene comune, idealizzazione del furbo che sa scansare le leggi…), ma sanno dare il meglio di sè nei momenti più critici, quando non c’è alternativa alla scelta di rimboccarsi le maniche e impegnarsi pancia a terra senza voltarsi indietro.

Sono certa che anche questa volta il nostro paese saprà contenere i danni e mostrare il valore e il coraggio della propria gente; alla fine  avrà la meglio su questo virus che sta destabilizzando il mondo.

 

Pensieri al tempo di COVID19 ….

coronavirus-lodiPoco più di una settimana fa scrivevo dei cittadini di Wuhan, chiusi in casa, del loro coraggio nel sostenersi a vicenda gridando dalle finestre …… e ora il coronavirus sta cambiando anche le nostre vite, qui, a casa nostra.

Io, ieri mattina, mi sono svegliata con un pensiero: e se chiudessero anche qui i negozi? E subito sono uscita per fare la spesa. Mi sono rifornita in modo che per un po’ di giorni non avrò problemi, poi se sarà necessario potrò fare la spesa on line.

Stasera sono andata in chiesa per la messa, ma il parroco ha detto a quanti erano presenti che, per ordine del vescovo le messe erano sospese fino a nuovo ordine.

Non ho mai vissuto momenti come questo, in cui si avverte più che mai quanto sia precaria la condizione umana e quanto sia risibile la pretesa dell’uomo di ergersi a dominatore della natura…

UTE: Relazioni efficaci: sostenersi e aiutarsi anche in terza età.

Creare buone relazioni e saperle mantenere e consolidare è fonte di felicità. Entrare in relazione implica la capacità di ascolto e di empatia, capacità di accettare le scelte dell’altro, anche se questa scelta determina la fine della relazione.

Le esperienze positive e negative della vita ci preparano, in tarda età, a costruire relazioni efficaci anche quando si dovesse restare soli.  Entrare in relazione comunque richiede il coraggio di accettare il rischio del fallimento dello scontro che porta a farsi del male reciprocamente.

Saper sorridere facilita l’ approccio a nuove relazioni. L’eccessivo attaccamento, provoca fastidio e può ingenerare dipendenza.

In terza età le relazioni devono essere improntate a: simpatia, feeling, affinità ed empatia. Gli errori che impediscono buone relazioni sono tanti: voler imporre le proprie idee, fare la morale, proporre soluzioni ad ogni costo, fare troppo complimenti, minimizzare i guai dell’altro, evitare di affrontare i problemi, indagare in modo petulante e invadente.

Un modo utile per stabilire relazioni positive e durature è quello di saper trovare la “giusta distanza” come insegna questa favoletta di Schopenauer

i porcospiniStare insieme senza ferirsi: il dilemma del porcospino di Schopenhauer

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche. Il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno: di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. Finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

UTE: Nel 100° anniversario della nascita di Fellini: La strada.

Ieri, dopo aver superato impreviste quanto ostiche difficoltà tecniche, abbiamo potuto seguire le immagini del film forse più famoso di Fellini.

La_StradaLa trama è nota a tutti, credo, ma la sintetizzo brevemente: Gelsomina, una ragazza forse affetta da lieve handicap psichico, viene “ceduta” per diecimila lire  dalla sua poverissima famiglia  a un artista di strada di nome Zampanò. Questi è un uomo violento che spesso  la maltratta, ma Gelsomina non sa dove altro andare e soffre nel sentire l’inutilità della sua vita. Incontra però un altro artista di strada, il Matto, che insegna a Gelsomina a suonare la tromba, comprende la sua sofferenza  e le fa capire che ogni cosa, ogni essere a questo mondo serve a qualcosa: anche lei, Gelsomina, è utile a Zampanò, che altrimenti non avrebbe nessuno accanto a lui. Questo pensiero rasserena Gelsomina, ma poco dopo il Matto viene ucciso proprio da Zampanò durante una lotta furibonda scatenata dagli sberleffi del Matto.

Gelsomina rimane talmente scossa da questo avvenimento, che si ammala. Zampanò non può prendersene cura e l’abbandona, lasciandole un po’ di soldi e la sua tromba. Anni dopo, il saltimbanco ritorna nello stesso paese e sente una donna cantare il “motivo di Gelsomina”; l’uomo pare finalmente manifestare un po’ di umanità nell’apprendere della morte della sua compagna di un tempo e finalmente piange in riva al mare… La dolcezza di Gelsomina vince la rozzezza bruta di Zampanò.

Il film si giova dell’interpretazione magistrale di Giulietta Masina e di Antony Quinn e proprio dal contrasto dei due personaggi nasce la poesia di questa opera, a cui dà un grande contributo la musica dolce e struggente di Nino Rota.

 

UTE: La mano: problemi articolari (Diana) – Dissoluzione dell’Impero Ottomano e nascita della Turchia (Angela D’Albis)

Dopo l’amena lezione introduttiva della volta scorsa, il dr. Lissoni oggi ha affrontato l’argomento della mano in modo rigorosamente scientifico, iniziando dall’analisi della struttura della mano.  Nel funzionamento della mano sono coinvolti 27 ossa  e 34 muscoli. Le ossa delle mani rappresentano un quarto del totale delle ossa del nostro corpo.

ossa della manoPer avere un’idea di quanto sia importante e complessa la funzione della mano basta dire che un terzo della nostra area cerebrale è dedicata al controllo dei suoi movimenti.

Nelle dita non ci sono muscoli, ma solo tendini e legamenti; i primi collegano i muscoli alle ossa . i secondi collegano le ossa tra di loro. Essi (tendini e legamenti) sono costituiti di tessuto connettivo privo di vasi sanguigni e ciò spiega i tempi lunghi richiesti per superare eventuali traumi

I tendini sono protetti da una guaina che produce il liquido sinoviale. Nell’articolazione è molto importante la presenza della cartilagine che facilita il movimento e limita l’attrito.

La mano è servita da tre nervi: radiale, mediano e ulnare, ognuno dei quali è collegato a una parte specifica.  Su di essa sono presenti molti recettori che percepiscono le sensazioni e gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno.

Una delle patologie più comuni della mano è l’artrosi, che colpisce le cartilagini articolari, rendendole più sottili e meno elastiche, fino a distruggerle completamente e provocando gravi dolori. Sintomi della presenza di artrosi è appunto il dolore , la rigidità delle articolazioni e le deformazioni interfalangee. Si parla di rizoartrosi  quando viene colpito il pollice. Sono piuttosto comuni le cisti gangliari del tutto inoffensive.

Più grave dell’artrosi è certamente l’artrite reumatoide che colpisce soprattutto le donne in giovane età. A differenza dell’artrosi è simmetrica e può colpire mani, piedi o altre parti del corpo. E’ una malattia autoimmune (il sistema immunitario si attiva contro il suo stesso organismo), che attacca i tessuti sani dell’articolazione e provoca gravi deformità oltre a impedire il movimento.

Altre forme di artrite sono la gotta, il lupus eritematoso sistematico, la sclerodermia e la psoriasi.

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Nella seconda ora, don Ivano ha ripreso l’analisi degli anni del primo dopoguerra e del trattato di Versailles e, in particolare, dei suoi effetti sulla Turchia.

Già la scorsa lezione, Don Ivano aveva spiegato che sotto il nome di trattati di Versailles vengono compresi vari accordi stipulati tra le potenze vincitrici della Grande Guerra e i paesi sconfitti.

Questi trattati erano veri e propri “diktat”, che limitavano il territorio dei paesi sconfitti e li obbligavano a pagare pesanti debiti di guerra.

Questo non avvenne per la Turchia che non portò mai a compimento il diktat del trattato di Versailles e continuò a combattere salvaguardando la sua indipendenza e permettendo la nascita di uno stato nuovo e moderno.

Prima di diventare lo stato che è adesso, la Turchia faceva parte dell’impero Ottomano.

L’Impero Ottomano comprendeva, oltre alla Turchia, anche i Balcani, l’Egitto e il Nordafrica.

Le guerre dell’ottocento e la Prima Guerra Mondiale portarono al decadimento di questo impero e, a causa delle varie etnie presenti, alla nascita di Stati indipendenti.

All’interno dell’Anatolia, dove si trovavano anche varie etnie (come gli Armeni e i Curdi), il gruppo turcomanno cercò di salvare la propria identità.

Dopo vari tentativi di smembramento della Turchia da parte delle potenze straniere, venne fuori quel nazionalismo turco che servì a formare il nuovo paese.

Il promotore di questo nazionalismo fu un generale dell’esercito, Mustafa Kemal che, sconfiggendo i Greci (1919/22) e l’esercito del Califfo, ristabilì l’unità e l’indipendenza della Turchia.

Egli spostò la capitale da Istambul a Ankara, poi diventò Primo Ministro e, infine, Presidente della Repubblica Turca.

Kemal seppe risvegliare il senso nazionale e di appartenenza dei Turchi.

Mustafa_Kemal_AtaturkQuando la Turchia stava rischiando di scomparire, Kemal riuscì a tenere viva la resistenza sul fronte interno avviando un processo di svecchiamento e modernizzazione chiamato “Kemalismo”.

Inoltre, sul fronte esterno, egli riuscì a non fare accettare mai dal suo governo le disposizioni dei paesi vincitori, obbligandoli a ribaltare le decisioni prese.

Per tutte queste ragioni e da questo momento, egli venne chiamato ATATURK, il padre della Turchia moderna.

Fu ammirato anche fuori del suo paese: Mussolini e Hitler ne ebbero una grande stima perché seppe tener testa alle potenze occidentali.

Tuttavia, la Repubblica di Ataturk fu una dittatura fondata su un partito unico e durante la sua presidenza si registrarono fenomeni di repressione delle opposizioni e pesanti violenze contro gli Armeni e i Curdi.

Don Ivano conclude la sua lezione spiegandoci che cosa è il Kemalismo.

Il nome deriva da Kemal ed è la sua filosofia politica che può essere sintetizzata in sei parole (”sei frecce”): nazionalismo, repubblicanesimo, populismo, statalismo, laicismo, rivoluzionarismo.

Questa filosofia la ritroviamo nel discorso da lui pronunciato tra il 15 e il 20 ottobre 1927 (Nutuk), che si rivelò un atto di condanna senza appello nei confronti dei suoi oppositori e ex collaboratori e che venne subito salutato come “il libro sacro dei Turchi”.

Occorre dare atto, comunque, conclude il docente, che l’attuale Turchia è quella che conosciamo grazie a Ataturk.

“Marginalità”: un’occasione per riflettere…

Ieri si è aperta allo Youthlab la mostra fotografica “MARGINALITA’: ritratti di invisibili”.

All-focus
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L’autrice, Ljdia Musso, ha esposto una serie di scatti fotografici che ritraggono i “senzatetto” in varie città e località italiane e straniere. Le foto sono montate su support rivestiti con collage  di carta di giornale ( è coi giornali infatti  che spesso gli “invisibili” si riparano o allestiscono il loro angolo di marciapiede). In un angolo è posato a terra un materasso con l’immancabile borsa di plastica, una bottiglia, una coperta.

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A terra, addossati alle pareti, ci sono  dei pannelli di cartone (recuperati da scatoloni) che riportano alcune frasi dell’Abbé Pierre, il fondatore delle comunità di Emmaus, il primo a occuparsi dei più emarginati.  Ora sono tante nel mondo le comunità che si ispirano all’Abbé Pierre e il loro approccio alla solidarietà varia da paese a paese: qui da noi raccolgono  l’usato e il ricavato serve a sostenere le comunità  delle zone più povere, dove riesce ad assegnare piccoli crediti alle donne che riescono così a realizzare piccole attività con cui mantenere i figli e ripagare il debito. Altrove si occupano di incentivare i piccoli agricoltori.

All-focus
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Questa mostra ha il merito di farci fermare a riflettere su quanti nelle nostre città sono in condizioni di estrema povertà, tanto da non potersi permettere una casa; li vediamo ogni giorno rannicchiati in qualche angolo di strada e i nostri occhi si sono talmente abituati alla loro presenza che non ci sentiamo più interpellare dai loro bisogni, dalle loro sofferenze. Grazie perciò a Maria Luisa dei Trapeiros e  grazie alla giovane Ljdia, che ha illustrato e commentato le sue foto con evidente viva partecipazione al dramma degli invisibili.

Trovandomi sul posto, ho potuto visitare l’ex-stazione ferroviaria (è lì che è allocata la mostra), concessa in comodato gratuito  alla cooperativa “concerto” e ristrutturata con i fondi donati dalla Cariplo. Vi trovano sede varie associazioni di giovani e meno giovani per svolgere attività di promozione culturale e ricreative. Può essere un’opportunità offerta all’associazionismo erbese.

 

UTE: Le vaccinazioni (A. D’Albis)- Fiabe tra Europa e Giappone (Diana).

Alle 15.00 il dottor Rigamonti introduce la sua lezione sulla “Immunoterapia” e le vaccinazioni.

L’Immunoterapia è il metodo più importante per la cura delle patologie basate su sostanze che agiscono sul sistema immunitario.Il sistema immunitario è un nostro patrimonio, ma anche degli animali, che cresce e si sviluppa con noi. Quando il bambino è molto piccolo prende le difese anticorpali dal latte materno. Poi a tre mesi il bambino comincia a fare le vaccinazioni; fa i richiami a sei mesi e, infine, a un anno. A questa età il bambino, dopo tre richiami delle vaccinazioni base e consigliate, è già immune da non farsi infettare da virus tipo la rosolia, il morbillo, la pertosse, l’epatite A e B e altre. In sintesi, l’immunoterapia è andare a prendere un anticorpo già precostituito e iniettarlo nella persona.

L’anticorpo si può creare in due modi, ci dice il dottore: o prendendo la malattia e superandola, o facendo il vaccino. A seconda delle circostanze, l’immunoterapia ha lo scopo di indurre, amplificare o sopprimere una risposta immunitaria da parte dell’organismo.

A tal proposito, continua il dottore, possiamo distinguere due tipi di immunoterapia:

Immunoterapia di soppressione: sono le terapie che si usano per le allergie, perché sopprimono la iper-risposta dell’organismo. Questa terapia richiede l’uso degli antistaminici. 

  • Immunoterapia di attivazione: sono le terapie che cercano di indurre o di amplificare una risposta immunitaria. È questo il caso dei vaccini e dell’immunoterapia oncologica, ossia dell’immunoterapia impiegata nel trattamento di tumori.

Il dottore ci ha parlato, poi, proprio dell’Immunoterapia Oncologica. Ci ha spiegato che il sistema immunitario non riconosce i tumori perché essi sono cellule dell’organismo e non estranee ad esso. Le cellule del nostro organismo espongono sulla propria superficie molecole di diversa natura, come proteine e carboidrati; le cellule maligne, invece, molecole diverse da quelle esposte dalle cellule sane. Queste molecole prendono il nome di antigeni tumorali. L’immunoterapia oncologica sfrutta proprio questo fenomeno: le cellule del sistema immunitario possono essere in grado di individuare gli antigeni tumorali e di attaccare le cellule malate che li espongono.
L’immunoterapia oncologica può essere suddivisa in tre gruppi principali:

  • Terapia cellulare;
  • Terapia anticorpale;
  • Terapia con citochine.

La terapia cellulare prevede la somministrazione dei vaccini contro il cancro: vengono prelevate cellule immunitarie da pazienti affetti da tumore.  Una volta prelevate, le cellule immunitarie vengono attivate in modo da riconoscere in maniera specifica le cellule tumorali, quindi coltivate in vitro e, infine, restituite al paziente. In questo modo, una volta tornate nell’organismo, le cellule immunitarie specifiche per il tumore dovrebbero essere in grado di identificarlo ed attaccarlo.

La terapia anticorpale prevede che, un anticorpo riconosce un antigene , questi interagiscono l’uno con l’altro con una sorta di meccanismo “chiave-serratura“.  Quando avviene l’interazione antigene-anticorpo – quindi quando la chiave è “inserita” – l’anticorpo si attiva, dando inizio alla risposta immunitaria dell’organismo.

Per quando riguarda la terapia con citochine, il dottore ci ha spiegato che le citochine sono responsabili della comunicazione tra le varie cellule del sistema immunitario e, alcune di esse, sono prodotte dallo stesso sistema immunitario.

Per finire, il dottore ci ha elencato gli effetti collaterali della Immunoterapia.

Ci ha spiegato che essi possono essere causati dall’iperattività del sistema immunitario.

Può capitare, infatti, che il sistema immunitario attacchi, non solo le cellule malate, ma anche quelle sane perché non è più in grado di riconoscerle come tali. Gli effetti più comuni possono essere:

  • Stanchezza;
  • Prurito;
  • Nausea e vomito;
  • Diarrea;

Tuttavia, dalle ricerche effettuate fino ad Aprile 2015, risulta che è stato approvato solo un vaccino per il cancro alla prostata.

Molti altri vaccini sono già in fase di sperimentazione, ma non sono ancora utilizzabili.  Alla fine della sua lezione il dottor Rigamonti ci parla del CORONAVIRUS, oggetto di preoccupazione e discussione in questi giorni e ci consiglia di vedere un filmato su YouTube intitolato “Coronavirus spiegato in italiano”.

Ed ecco il video:

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Cos’è la Fiaba? E’ qualcosa che si racconta.

La cultura umana comincia con la tradizione orale che trasmette nel tempo fiabe, favole e miti. La fiaba è caratterizzata in genere da elementi fantastici; la favola ha come protagonisti gli animali ed ha un chiaro intento moralistico (Esopo, Fedro, La Fontaine);  il mito ha sempre una dimensione sacra.

Il genere della fiaba ha avuto origine in India e si è poi diffuso in Europa e in Cina, per questo le fiabe europee e quelle cinesi sono molto simili.  Sono stati gli antropologi che si sono occupati, in vari paesi, di raccogliere e registrare i racconti tramandati oralmente  per secoli.

Giovan  Battista Basile riportò quelli che si narravano al sud ne “Lo Cunto de li Cunti” e dalla sua opera i fratelli Grimm, in Germania, trassero molto materiale per i loro libri; Andersen in Danimarca raccolse racconti popolari e altri ne inventò. A Roma esiste una discoteca che conserva le registrazioni di fiabe che le donne anziane del sud e di altri territori solevano raccontare ai più piccoli.

Le fiabe hanno come nesso comune il rapporto con il male: la narrazione educa a riconoscere e a discernere il bene e il male e gli elementi di crudeltà di cui sono spesso pervase, hanno il fine di insegnare come fermare il male e trionfare su di esso.

tempio shintoistaMentre delle fiabe europee non si conosce l’autore e la loro origine si perde nella notte dei tempi, le fiabe giapponesi hanno una datazione e un autore certo e riportano a un simbolismo molto lontano dalla nostra cultura. Spesso da noi la fiaba finisce con la morte del cattivo, nelle fiabe giapponesi la morte dà origine alla storia e  risente dello shintoismo, che non è propriamente una religione, ma un modo di scoprire il sacro nella natura e nelle cose.