Un’ amica scrive: Dove?

La mia cara amica Piera mi manda questo scritto che lei chiama “sfogo di vita”, ma che può benissimo chiamarsi poesia…

Dove?

Sono anni che / cerco le mie radici ./Al loro posto/ trovo solo/ nostalgia e ricordi / che voglio dimenticare.

mazzo-chiavi-amore-vita-forza-salute-in-ottone-con-bagno-argento-cm-3-chiave-piu-lungaNon ho perso/ le chiavi delle emozioni./ Giro su una piattaforma incerta/ con un grande mazzo di chiavi/ e desidero trovare/ le relative serrature./

Non muore la speranza/ perchè la ricerca / diventa uno dei motivi di vita.

Mi piace l’immagine della piattaforma incerta su cui tutti giriamo , alla ricerca di un senso alla nostra esistenza, ignorando che è proprio in questa ricerca che la vita trova il suo significato….

 

Grazie, Piera!!!!

Poesia: Chimera ( A. Rossini)

Riporto qui una delle tante belle poesie di A. Rossini , pseudonimo sotto il quale pubblica sul suo blog una carissima ex-collega, con la quale ho potuto collaborare con grande piacere e soddisfazione in alcuni anni di insegnamento. Delle sue poesie, sempre  velate di malinconia se non di tristezza, amo molto la musicalità fresca e spontanea dei versi. Non traspare nessuna faticosa e artificiosa ricerca , anzi i versi scorrono lievi come onde di un ruscello appena sgorgato dalla sorgente. Grazie, Andrea, per avermi concesso l’ onore di pubblicare questa poesia.

CHIMERA (A. Rossini)

Piove sul triste giardinomargherite sotto la pioggia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

che ieri sognava l’estate,

piangono gli aghi del pino

sulle vecchie fronde bagnate.

Anche le pratoline

han chiuso le bianche corolle

e meste lucertoline

fuggon via tra le zolle.

Il cielo di nuvole pieno

non vuole farmi sognare

e cadon sui verdi campi

mille lacrime amare.

Io guardo il grigio paese

da cui non posso scappare:

è come una prigione

che non fa respirare.

Poi penso, per un momento,

ad un luogo dolce e lontano:

un ricordo che a volte ritorna,

mi chiama, sussurra pian piano.

Ma è tardi, fugge il mattino

e porta con sé la chimera,

cancella le mie illusioni.

La realtà mi appare più nera.

Piange il cielo lontano,

piange anche il mio cuore.

Sul viso compare un sorriso

che a tutti nasconde il dolore.

Poesia : Le oche non chiudono gli occhi…

La mia amica Piera mi ha “regalato” una sua composizione ispirata a un tramonto sul Lago.

bosisiolago4 tramontoPoesia: Le oche non chiudono gli occhi…

A settembre / i monti dimenticano i verdi,

scendono a valle /arrossati dall’autunno

e si immergono /nelle acque del lago.

All’ora che il sole / s’insacca dietro Eupilio,

prima di lasciarci/ sbriciola i suoi raggi/

sulle onde, ora lente/ e stese a intervalli,

ora mosse.

Il cielo ne è partecipe/ e sparge/ un’illusione di stelle /

prima di certificare / la fine del giorno.

E’ abbaglio, è meraviglia!…

Accolgo queste immagini,  assetata,

“come fanno i fiori con la pioggia”

e le trattengo negli occhi.

 

Il titolo, piuttosto singolare, offre forse una originale chiave interpretativa di questa poesia, che rivela grande sensibilità . Ringrazio la mia amica per il suo dono.

 

 

Poesia: Il sorriso. (Andrea Rossini)

Ecco un’ altra bella poesia dell’ amico Andrea Rossini , che mi concede il privilegio di pubblicarla qui. La sensibilità di Andrea  è evidente in ogni sua poesia , ma qui riesce  a emozionarci non solo con la delicatezza delle immagini , ma anche con la musicalità dei versi e con quel dissolversi della malinconia , che spesso pervade le sue composizioni, in un desiderio di serenità e di dolcezza.

IL SORRISO

Un passerotto

saltella piano

fra i verdi steli

dell’erba gelata.

Tuba nel nido

la tortorella,

aspetta e sogna

un po’ di calore.

Nel cielo azzurro

compare il sole

che fa risplendere

tutto il giardino:

trasforma in luce

la bianca brina,

diamanti dona

ai rami del pino.

Tesse d’argento

la ragnatela

che un poco trema

in un angolino.

Tutto sfavilla,

riscalda il cuore,

non c’è più posto

per il dolore.

Cade una lacrima

sul vecchio viso,

ma è mattino:

cerco un sorriso.

 

Storie di famiglia: Eva, Fatima e nonno Vincenzo

Dai racconti di mia sorella Ilva:

Da sempre, in ogni comunità, quando anche  la medicina era poco più che stregoneria, c’ era un guaritore o una guaritrice cui la gente ricorreva  sperando nel beneficio che una sua parola, un gesto, una pozione potessero porre fine a malanni e sofferenze.

Nel mio paese , nei primi decenni del secolo scorso, c’ era  Eva che  tutti dicevano avesse un “dono” speciale e che in molte circostanze si era guadagnata la riconoscenza dei suoi compaesani.

Nel 1917 però , in piena guerra, Eva (detta “Lèva) si trovò impotente a fronteggiare qualcosa che era troppo più forte dei suoi poteri: sua figlia Fatima, una bambina di pochi anni, era in pericolo di vita per una difterite ( il terribile crup) , rischiava di morire soffocata. Doveva essere portata all’ ospedale di Carpi, l’ unico della zona (distante 15 Km.). Chi poteva accompagnarla?

Mio nonno paterno, aveva allora 52 anni. Era stato nell’ arma dei carabinieri ed era tra i pochi che, nei dintorni, disponesse di un calesse e di un cavallo. In quei giorni però lo aveva colpito una brutta forma di polmonite e aveva la febbre alta.

Probabilmente in quel momento c’ erano pochi altri uomini in paese e lui si sentì in dovere di rispondere a quella richiesta di aiuto e senza curarsi di ciò che sarebbe potuto accadergli, caricò Eva e la sua bimba sul calesse e sfidò il freddo di quell’ inverno infausto.

Fatima potè così essere curata e si salvò, nonno Vincenzo invece morì pochi giorni dopo.

 

 

 

Spazio aperto: mia cugina Lia racconta….

Ho chiesto a mia cugina Lia di regalarmi il ricordo di ciò che il suo papà, Enzo,  fratello minore di mio padre, raccontava quando riandava con la mente alla sua infanzia e ai suoi anni giovanili e di  raccontare quanto lei stessa ricorda della nostra famiglia. Ed ecco quanto molto gentilmente lei mi ha scritto:
Cara Diana, temo che anche i miei ricordi sull’infanzia di mio padre siano molto frammentari e, soprattutto, riguardano lui solo e non la sua famiglia. Avrei dovuto scrivere quello che raccontava. So del suo desiderio di avere zoccoli di legno ( immagino come quelli del film “l’albero degli zoccoli” di Olmi )e che fu una grande gioia quando li ebbe, così poteva scivolare sul ghiaccio, andando a scuola a piedi, anche d’inverno, dalla casa del “Cantonazzo” (contrada assai distante dal paese).
So che quando facevano qualche festa in casa, mettevano una spessa asse di legno sul pozzo, che era interno alla casa, e lì si accomodavano i “suonatori”…
Poi mi raccontava che, “quand me fradel Bruno l’era ande’ a tor l’ impero, me’ a gheva da tgnir al negozi di bicicleti da per me, ca gheva quatordes an !!”( Si capisce la trascrizione del dialetto?)
Pensa, diceva che Bruno era andato a “prendere” l’ impero, la stessa espressione che ho trovato nel libro di Pennacchi “Canale Mussolini”, perché Mussolini diceva che l’impero sulle terre d’Africa era nostro di diritto , ereditato dai Romani , per cui noi dovevamo andare a riprendercelo!
Quando era militare, costruiva le radio a galena per i suoi superiori, meritandosi così qualche licenza extra, per poter reperire il materiale. Ma qui siamo già avanti nel tempo, verso il 1938, quando mio padre parti’ per fare il militare e non ne tornò che dopo 7 anni, alla fine della guerra.
 C’è un episodio di quel periodo che mio padre raccontava con commozione: doveva imbarcarsi su una nave in partenza per l’ Africa, ma non partì da Napoli,  perché il suo colonnello, a cui faceva da autista e che gli voleva bene, lo rimandò indietro perché lui( mio padre) aveva famiglia.
Pensa, la nave fu affondata !  Dopo l’8 settembre ci fu il lungo ritorno a casa : da Postumia in Emilia a piedi.
Per la nonna Carolina … Be’, io ero la sua nipote preferita e mi difendeva sempre a spada tratta, anche contro i miei. Le sono rimasta affezionata e la ricordo spesso, non ostante fosse brontolona e musona. Poveretta, la vita non era stata buona neanche con lei e forse non era riuscita a superare i torti subiti.  Mah! Pace all’anima sua. Adesso è col ” pover Visens, c’ l’era tanto bel visti’ da carabinier!”.
Grazie infinite, Lia! Il tuo bellissimo racconto viene ad aggiungere qualche tassello alla storia delle nostre famiglie ….io la lascio qui a disposizione dei nostri nipoti…se un giorno vorranno conoscere qualcosa in più circa le loro radici…

Poesia: Autunno (Andrea Rossini)

Con l’ autorizzazione dell’ autore  , riporto qui una delle sue poesie.  Le composizioni di questo autore sono spesso pervase da una dolce malinconia, che a volte sconfina nella tristezza; qui , oltre alla delicata sensibilità , si avverte anche una musicalità non casuale dei versi. Bravo Andrea!

Autunno

L’ultima rosa
gelata dal freddo
in un giardino
che attende l’inverno.
Una farfalla
si posa incerta
sull’erba gialla,
poi muore,
senza sapere
neppure perchè.
Pallido il sole
un po’ si nasconde,
più non riscalda
quel vecchio che trema.
Giunge l’autunno
che uccide le foglie
e i sogni avvolge
nella sua bruma.

 

Concas come Macondo.

Ho rintracciato un post che mi è molto caro. E’ stato scritto dalla mia prima amica “virtuale”, Onorina Vargiu, quando tutte e due muovevamo i primi incerti passi nella rete. Onorina ha avuto la “fortuna” di nascere in un mondo dal sapore arcaico, quasi mitologico. Ecco cosa dice del suo borgo natale.

“Oggi  voglio parlarvi della frazione dove sono nata.

Si chiama  Concas  probabilmente per le numerose conche che  il vento ha scavato nelle rocce, .ma all ‘inizio della sua storia si chiamava  Oretola. È situata in un piccolo altopiano ;  alle sue spalle, come in un abbraccio protettivo , c ‘è  la catena montuosa “de su ludrau, sos nodos rujos, sa vulcada” (ndr. si capisce che Onorina è sarda?).  Davanti , in lontananza , il lago artificiale sul rio Posada.

Concas , pur essendo compresa nel territorio di Torpè, è stata  fondata  da  una famiglia di pastori  (i fratelli Vargiu, di cui uno era mio bisnonno) che da Buddusò  si spostavano  con le loro greggi per cercare un clima più mite, dapprima solo durante l’ inverno, poi vi si insediarono stabilmente. Quindi cominciarono a sostituire le tradizionali  “pinnetas”, fatte  con legno di niberu , con case costruite con le pietre (che vi si trovavano abbondanti) tenute assieme con fango.

Alle prime famiglie se ne aggiunsero pian piano delle altre, ma è rimasta sempre una piccola comunità di pastori e contadini .

L’ isolamento in cui abbiamo sempre vissuto, è difficile da immaginare ; forse per rendere l’ idea , potrei dire  che è la nostra Macondo………pensate che fino al 1960 ci si poteva arrivare  soltanto con il carro trainato dai buoi , ma d ‘inverno era comunque difficile raggiungere il paese ( a 15 kilometri) perchè  con il fiume in piena si rischiava di rimanerci.  Da noi la luce elettrica è arrivata solo nel 1972 .

Io amo  moltissimo Concas : è il posto che sento più mio.

Mi dispiacerebbe se la speculazione arrivasse anche lì e stravolgesse il suo volto ancora miracolosamente originale. “

Onorina Vargiu.

Poesia : Metalmeccanico.

La mia amica Graziella mi ha regalato questa sua poesia scritta qualche anno fa. E’ dedicata al marito che faceva il metalmeccanico.

METALMECCANICO (di Graziella Donini)

 

 

Contingenza, scala mobile,

cassa integrazione…..forse;

un attimo di silenzio

greve tra noi,

un sospiro……… Poi vedo

trucioli d’ oro e d’ argento

nei tuoi capelli,

splendenti come i momenti

che tu mi dai

e getto al vento

tutti gli affanni,

perchè li dissolva l’ aria.

& & & & & & & & & & & & &

Se c’ è l’ amore , se si è uniti, nessuna difficoltà può fare paura.