Una festa in paese.

Ero forse in IV elementare e la scuola fu invitata a partecipare a una sfilata in costume che intendeva far rivivere i tempi in cui il nostro paesino era dominato dagli antichi signori.

Tutto il paese e tutti i circoli culturali e associazioni varie partecipavano alla festa.
Anche per me fu prenotato il noleggio di un vestito da dama rinascimentale.
Quando arrivò il giorno della sfilata c’ era molta gente per le strade, perchè ognuno aveva qualcuno di famiglia impegnato nella rievocazione storica….
Io indossavo il mio abitino lungo di velluto color nocciola con profili verdi e in testa avevo un copricapo che mi faceva sembrare buffa   (anche ora non trovo mai nè un cappello, nè un berretto o altro che non mi faccia sembrare mooooolto “buffa”).
La mia compagna di banco invece aveva due grandi trecce bionde che  sbucavano da sotto il cappello e le incorniciavano il viso: il solo fatto che fosse bionda me la faceva sembrare bellissima e poi il suo vestito era di un bel viola intenso con profili dorati.
Mi sentivo un po’ scialba e  a disagio.
Il corteo attraversò le vie del paese, sostò sotto il balcone del municipio a cui si affacciò la coppia che impersonava i “signori conti” per un breve discorso alla folla plaudente e poi ci si avviò verso il teatro, dove tutti i personaggi sfilarono sotto gli occhi di una giuria che doveva premiare il vestito più bello (cosa che a mio avviso non aveva molto senso, essendo tutti  abiti noleggiati).
Ricordo l’ imbarazzo con cui, ad un cenno della mia maestra, salii su una passerella improvvisata.

La sottile malinconia che mi aveva preso fin dall’ inizio, man mano che venivano chiamati gli altri bambini per la premiazione, si era accentuata sempre più e quando fui chiamata per ultima ebbi la conferma delle mie sensazioni spiacevoli: ero proprio la più brutta!!!
Il ricordo, dopo tanto tempo, si è purificato da quel senso di frustrazione e mi piace riportarlo alla mente, ma quel giorno, che doveva essere una festa,  non mi portò molta allegria.

La vendemmia.

Quando le giornate si facevano più corte, al mattino vedevi, aprendo la finestra, una leggera nebbiolina alzarsi dal prato antistante, mentre ti arrivava alle narici il gradevole odore dell’uva ormai matura.
Ricordo che era  il momento  più bello dell’ anno, perchè il caldo soffocante era ormai passato e nei campi si stava bene, l’aria era tiepida e tutto intorno le foglie degli alberi cominciavano ad assumere il tipico aspetto autunnale, quando sembra che rilascino  la luce del sole che hanno assorbito durante la stagione passata.
Allora era il momento della vendemmia.
Ogni vendemmiatore portava la sua roncola e il suo paniere e si andava nei filari dove l’ uva era più matura.
Cogliere i grappoli, riempire i canestri e svuotarli nelle cassette, che venivano poi caricate sui carri ,  era  faticoso, ma ci si poteva permettere il lusso  di scambiare qualche chiacchiera sui fatti del paese o di lanciare una battuta di spirito.
Le api si affollavano attorno ai grappoli più maturi e ricordo che anch’ io potevo fare buone scorpacciate scegliendo i grappoli più belli , che mi lasciavano le dita appiccicose, o andando a cogliere qualche pera ancora sull’albero.o qualche noce appena caduta .

Ricordo un personaggio in particolare: l’Albertino, il “putt” (cioè lo scapolo), della fattoria. Era un po’ balbuziente, ma quando cantava sembrava un vero tenore  e spesso era lui che allietava le ore di lavoro, mentre gli altri assecondavano il suo canto facendo la “seconda voce” o canticchiando piano per non rovinare quell’ armonia .

 

Storie di famiglia: Eva, Fatima e nonno Vincenzo

Dai racconti di mia sorella Ilva:

Da sempre, in ogni comunità, quando anche  la medicina era poco più che stregoneria, c’ era un guaritore o una guaritrice cui la gente ricorreva  sperando nel beneficio che una sua parola, un gesto, una pozione potessero porre fine a malanni e sofferenze.

Nel mio paese , nei primi decenni del secolo scorso, c’ era  Eva che  tutti dicevano avesse un “dono” speciale e che in molte circostanze si era guadagnata la riconoscenza dei suoi compaesani.

Nel 1917 però , in piena guerra, Eva (detta “Lèva) si trovò impotente a fronteggiare qualcosa che era troppo più forte dei suoi poteri: sua figlia Fatima, una bambina di pochi anni, era in pericolo di vita per una difterite ( il terribile crup) , rischiava di morire soffocata. Doveva essere portata all’ ospedale di Carpi, l’ unico della zona (distante 15 Km.). Chi poteva accompagnarla?

Mio nonno paterno, aveva allora 52 anni. Era stato nell’ arma dei carabinieri ed era tra i pochi che, nei dintorni, disponesse di un calesse e di un cavallo. In quei giorni però lo aveva colpito una brutta forma di polmonite e aveva la febbre alta.

Probabilmente in quel momento c’ erano pochi altri uomini in paese e lui si sentì in dovere di rispondere a quella richiesta di aiuto e senza curarsi di ciò che sarebbe potuto accadergli, caricò Eva e la sua bimba sul calesse e sfidò il freddo di quell’ inverno infausto.

Fatima potè così essere curata e si salvò, nonno Vincenzo invece morì pochi giorni dopo.

 

 

 

Nevicate.

Quando ero piccola io,  quasi ogni anno  le nevicate erano abbondanti e seppellivano la pianura sotto un pesante mantello bianco che addolciva i contorni delle cose e diffondeva nell’ aria una luce diversa, anche di notte.
Ricordo come mi piaceva stare in casa vicino alla stufa o vicino al camino e guardare fuori dalla finestra la neve che scendeva giù fitta, mentre il papà entrando col suo tabarro imbiancato faceva entrare una zaffata d’ aria fredda che ti faceva apprezzare ancor di più il tepore della casa e intanto diceva:
– Se continua così ne verrà una gamba…..-
Oppure: – Col freddo che fa questa ce la porteremo fino alla primavera….
Intanto io preparavo delle briciole di pane da lanciare sulla neve per gli uccellini affamatissimi, ma si sapeva che molti preparavano invece delle vere e proprie trappole per catturarli e mangiarseli con la polenta, ma allora non ci si scandalizzava molto per questo.
C’ era poi chi aveva avuto modo in autunno di fare la sapa (il mosto cotto) e con la neve ora si preparava una granita speciale o almeno così dicevano (io non l’ ho mai assaggiata).
Era bello fin che la neve cadeva, ma poi cominciavano i disagi: la spalatura, l’ acqua di neve che ti bagnava le scarpe e penetrava a gelarti i piedi e non c’ erano mezzi diversi che il camminare a piedi, mentre sprofondavi lasciando le tue impronte nella neve che crocchiava sotto di te.

I miei primi giorni di scuola….

In casa mia si parlava solo il dialetto, come tutti  nei dintorni, a parte qualche bambino delle famiglie che abitavano in piazza e che avevano come status-symbol gli abiti sempre alla moda e la parlata elegante, ma io quelli non li conoscevo nemmeno.
Ricordo che quando giocavamo alle “signore” io e le mie amichette ci sforzavamo di parlare in italiano (non so con quali risultati) e per accentuare la raffinatezza del nostro eloquio atteggiavamo la bocca in un modo curioso.
Non ero mai andata all’ asilo, perchè era troppo lontano e quindi al momento di cominciare la scuola io mi sono trovata catapultata in un mondo del tutto estraneo e ostile , a mio avviso, quasi come può capitare oggi a un bambino straniero.
Per i primi giorni resistetti stoicamente, ma una mattina mi alzai ben decisa a non andare più in quella scuola, visto che io non sapevo fare nulla di quello che mi veniva richiesto.
Devo aver fatto un bel po’ di capricci, se a un certo punto mio padre, per la prima ed unica volta nella mia vita, arrivò a darmi una bella pacca sul sedere.

Ricordo anche le tragedie che feci il giorno in cui per compito dovevo scrivere una pagina di “i” : non mi sembravano mai fatte abbastanza bene e mi disperavo; venne  in aiuto anche mio fratello Franco , che era ormai un giovanotto e che spesso si divertiva alle mie spalle . Dopo avermi offerto la sua assistenza tecnica per migliorare la mia grafia, non potè resistere alla tentazione di fare una battuta cattiva e mi disse : Se iangi così per la “i” , chissà quanto dovrai piangere domattina con le “U” che si scrive come fossero due “i” attaccate!!!-

Credo che a questa battuta il mio pianto diventasse  un vero diluvio….ma poi in breve tempo mi rassegnai al mio destino di scolara e mi inserii nel nuovo ambiente con soddisfazione mia e dei miei genitori.

Quando arrivò la TV.

Mio fratello nel 56 lavorava alla RAI e doveva preparare i collegamenti televisivi da Cortina per le Olimpiadi invernali.
Sapevamo che sarebbe comparso anche se per poco in un documentario  sulla imminente manifestazione sportiva e lo zio, che vendeva televisori, ce ne prestò uno, affinchè papà e mamma potessero vedere il loro figlio al lavoro.
Era grande , ingombrante e quando la notizia si seppe tra i vicini, ci fu grande curiosità, perchè in tutto il paese ce n’ erano pochissimi .
Quando fu messo in funzione, sembrò a tutti che si compisse una magia: era come avere il cinema in casa!
Ricordo che fu piazzato su un mobiletto apposito che aveva un secondo ripiano su cui fu piazzato un  grosso trasformatore. Sopra all’apparecchio fu posata una lampada gialla: sul suo paralume una serie di forellini formava la sigla TV che si vedeva bene in controluce.

L’ accensione era sempre un’ operazione piuttosto lunga, che creava una certa suspense: dopo qualche minuto di attesa cominciavano ad apparire sullo schermo prima dei puntini poi delle righe orizzontali e spesso bisognava mettere a punto l’ immagine in bianco e nero e quando tutto finalmente entrava in funzione, ci sentivamo tutti soddisfatti: finalmente si cominciava.

Cominciarono a venire i nostri vicini la sera dopo cena in casa nostra, ma non più per la solita chiacchierata (in filòs) o per la partita a carte, ma per vedere “Lascia e raddoppia” che allora furoreggiava e con il premio finale di cinquemilioni faceva sognare tutti.
Durante la giornata trasmettevano solo le gare olimpiche e io mi ricordo che quell’ anno l’ atleta che vinse il maggior numero di medaglie fu un certo Tony Sailer, un bellissimo ragazzo austriaco e fu forse allora che cominciai a interessarmi di sport, anche se in modo molto “intermittente”
Ricordo che a scuola parlavo anche alla maestra delle trasmissioni che avevo visto il giorno prima  suscitando lo stupore, la curiosità e forse anche l’ invidia  dei miei compagni.
Alla mia amica preferita invece raccontavo le trame dei film più appassionanti e mi sentivo un po’ una privilegiata.

La Grande guerra: storie di famiglia e non solo….

Riporto qui il post che ho scritto per il sito ” Per Lunga Vita” dell’ amica Lidia Goldoni.

Quest’anno si sono celebrati i cento anni dall’ entrata dell’ Italia nella Grande Guerra.
Molte sono state le occasioni per ricordare quel triste avvenimento con il terribile strascico di morti e di dolore che ha portato con sé.
Come spesso è accaduto nella storia, una ristretta minoranza ha fatto delle scelte, le cui conseguenze poi sono ricadute su una maggioranza inconsapevole e incolpevole.

Ideali fasulli di una élite annoiata del quieto vivere sono stati enfatizzati in ogni paese europeo fino a determinare un conflitto che cancellerà un’ intera generazione di giovani.
Tra quei giovani c’ era anche il mio nonno materno.
Lui non era un intellettuale imbevuto di nostalgie risorgimentali, era solo un giovane contadino che, non ancora trentenne, si è visto costretto a lasciare la sua giovane moglie e i suoi figli, tutti piccolissimi, per indossare una divisa e imbracciare un fucile.
Tra i ricordi, che mia madre rievocava ogni tanto, naturalmente non ci sono le pene, i tormenti della vita di trincea: probabilmente il nonno non ha avuto modo di parlarne con nessuno, forse nemmeno con la moglie, per non angustiarla anche di più di quanto già non lo fosse. Tuttavia oggi sappiamo bene quali orrori abbiano dovuto vivere i soldati, immersi perennemente nel fango, negli escrementi e nel fetore dei cadaveri, oltre all’ insensatezza di ordini impartiti da generali incompetenti e senza scrupoli, che li mandavano all’ assalto per conquistare poche centinaia di metri, che sarebbero stati persi il giorno dopo…..per non parlare della scarsità di cibo, degli indumenti inadatti e dei pidocchi….
Tuttavia il mio allora giovane nonno era riuscito a sopravvivere a quei tre anni di inferno, la guerra era finita, l’ armistizio era stato firmato e lui era rientrato a casa in licenza per le feste di Natale.
Mia madre, che allora aveva appena 8 anni ed era la primogenita, ancora negli ultimi tempi della sua vita ricordava quei giorni e diceva:
“Era bello mio padre; non era tanto alto, ma aveva un bel viso tondo ornato da un paio di baffetti corti. Era così felice in quei giorni di licenza !! E quando è partito si è fermato sulla porta dicendo a noi bambini che sarebbe tornato presto e che saremmo stati sempre insieme. Poi si era allontanato fischiettando”.
Passarono pochi giorni e arrivò un telegramma: Onesto Magnani era deceduto a Cento di Ferrara dove era di stanza.
Mia nonna Marcellina aveva allora trentun anni, quattro figli già nati e uno in arrivo.
In paese qualcuno accettò di accompagnarla a Cento, non so con quali mezzi. Non credo che si fosse mai allontanata tanto dal paese, ma lei, incinta, partì per poter riconoscere il marito e provvedere al rientro della salma per la sepoltura nel cimitero del paese.
Da allora cominciò per lei e per i suoi figli una serie di vicissitudini facilmente immaginabili: prima di tutto dovette combattere contro la burocrazia che non voleva riconoscerle lo status di vedova di guerra, perché il marito era morto di spagnola quando la guerra era finita ormai. Ma nonna Marcellina non si lasciò scoraggiare e cominciò a peregrinare tra uffici di paese e provinciali per ottenere la pensione per lei e per i suoi figli e alla fine ci riuscì.
Cosa poteva fare ? Non se la sentiva di restare tutta sola a portare avanti la sua numerosa famiglia e decise di tornare in casa coi genitori ( cosa che, mia madre , una volta diventata grande, ha sempre ritenuto sbagliata: lei e i suoi fratelli avrebbero potuto usufruire degli aiuti previsti per gli orfani di guerra , cosa che non fu possibile ottenere dopo che risultavano abitare in casa di un socialista , come era il bisnonno).
Mia madre aveva nove anni. Fino ad allora era andata a scuola ed era brava, le piaceva studiare e imparare tante cose. Frequentava la quarta classe, ma, dopo il trasferimento nella casa del nonno, lei dovette cominciare a lavorare nei campi, ad alzarsi all’ alba per accudire le mucche e pulire la stalla. Quasi tutte le mattine poi doveva anche fare la sfoglia, ma poiché era troppo piccola, per poterla stendere bene saliva su un panchetto.
Delle peripezie di mio padre in quel periodo non so molto, lui non amava ricordare quei tempi. So solo che a un certo punto il podere della famiglia fu venduto, che mio padre, una volta cresciuto e sposato con mia madre, aveva cercato un lavoro, ma per ottenerlo avrebbe dovuto iscriversi al partito che ormai aveva preso il potere e lui allora decise di mettersi in proprio e fare il pollivendolo ambulante. Cominciò ad andare nelle fattorie a comprare “dai rasdori” uova, polli, galline, conigli per portarle ai mercati. Si alzava alle quattro del mattino e con le stie piene e pesantissime caricate davanti e dietro sulla bicicletta (a volte mia madre doveva aiutarlo a salire in sella tanto il carico era pesante) andava fino a Carpi. Così riusciva a portare a casa quanto bastava a noi 5 figli , ma si può ben immaginare che si potevano soddisfare solo i bisogni essenziali.
Mia madre raccontava che quando lei e mio padre erano andati a vivere da soli avevano solo un letto e una sedia: eppure venivano entrambi da famiglie che avevano avuto terreni e case di proprietà, ma la guerra che aveva portato via i capifamiglia li aveva precipitati nella povertà.
Forse la gente del popolo aveva sempre saputo quanto le guerre siano stupide, insensate e inutilmente atroci, ma anche coloro che avevano inneggiato alla guerra, che l’ avevano voluta per cercarvi gloria e onore, una volta in trincea, compresero bene quanto fossero stati ingannati, di quale menzogna fossero state vittime .
Riporto qui una poesia famosa tratta dalle lezioni dell’ UTE dello scorso anno Accademico.
DULCE ET DECORUM EST (di Owen).
Piegati in due, come vecchi straccioni, sacco in spalla,
le ginocchia ricurve, tossendo come megere, imprecavamo nel fango,
finché volgemmo le spalle all’ossessivo bagliore delle esplosioni
e verso il nostro lontano riposo cominciammo ad arrancare.
Gli uomini marciavano addormentati. Molti, persi gli stivali,
procedevano claudicanti, calzati di sangue. Tutti finirono
azzoppati; tutti orbi;
ubriachi di stanchezza; sordi persino al sibilo
di stanche granate che cadevano lontane indietro.
Il GAS! IL GAS! Svelti ragazzi! – Come in estasi annasparono,
infilandosi appena in tempo i goffi elmetti;
ma ci fu uno che continuava a gridare e a inciampare
dimenandosi come in mezzo alle fiamme o alla calce…
Confusamente, attraverso l’oblò di vetro appannato e la densa luce verdastra
come in un mare verde, lo vidi annegare.
In tutti i miei sogni, davanti ai miei occhi smarriti,
si tuffa verso di me, cola giù, soffoca, annega.
Se in qualche orribile sogno anche tu potessi metterti al passo
dietro il furgone in cui lo scaraventammo,
e guardare i bianchi occhi contorcersi sul suo volto,
il suo volto a penzoloni, come un demonio sazio di peccato;
se solo potessi sentire il sangue, ad ogni sobbalzo,
fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava,
osceni come il cancro, amari come il rigurgito
di disgustose, incurabili piaghe su lingue innocenti –
amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore
a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate,
la vecchia Menzogna: Dulce et decorum est
Pro patria mori.
(Traduzione dell’ ultima frase latina che dà il titolo alla poesia : E’ dolce e onorevole morire per la patria)
*******************
Forse perché quando si parla di Grande Guerra risento il dolore che traspariva dalla voce di mia madre , forse perché da lei ho capito quale tragedia essa abbia rappresentato per la sua famiglia ( e in seguito per la mia famiglia che si è ritrovata nella povertà), non posso sentir parlare di guerre: non credo che ci possa essere una guerra giusta, se non per difendersi da un inevitabile attacco imminente. I danni che esse provocano non fanno che aggravare le situazioni e aggiungere sofferenze a sofferenze, …e, come dimostra la storia della mia famiglia, i danni della guerra non finiscono con la firma dell’ armistizio o dei trattati di pace, ma proiettano la loro ombra nefasta sul futuro per generazioni.

UTE: prossimamente…

La prossima settimana si prospetta non solo molto interessante , ma anche molto piacevole:

Martedì , 10/11/2015  – ore 15 -17.

La prof. A. Chiesa ci guiderà a rivedere le vicende storiche che fanno da sfondo a ” “I Promessi Sposi” , libro che ha il torto di essere stato abusato come testo di narrativa a scuola, ma che riletto rivela pagine indimenticabili.

A seguire la prof. M. Beretta ci guiderà alla scoperta del paesaggio idealizzato: da Giotto a Klimt .

Mercoledì , 11/11/2015.  : Visita al complesso di San Calogero e alla casa del pellegrino di Civate. Partenza dal parcheggio di Via Battisti alle ore 14 e rientro ad Erba alle 18.

 

Venerdì, 13/11/2015 : ore 15- 17.

Lezione di filosofia del prof.  Mario Porro sul tema : “USCIRE DALLA CAVERNA”.

Seguirà una lezione di ecologia del prof. don Ivano Colombo che partendo dalla enciclica di Papa Francesco “Laudato si’ ci parlerà di come ” un’ ecologia integrale” prevede che sia sempre al centro la persona.

Credo sia un programma piuttosto stimolante e invito tutti gli amici  e soci a non mancare.

 

Accade a Erba: nei prossimi giorni….

Settimana densa di appuntamenti interessanti; ne segnalo alcuni:

3 novembre: ore 15 -17 : Ute : la prof Meggetto ci intratterrò sul “De rerum natura” di                                                       Lucrezio  – il prof. Sassi ci parlerà di catastrofisti e attualisti in                                                     geologia.

4 novembre: ore 10.00 : messa  nell’ ambito delle celebrazioni  per l’ Unità nazionale –                                                      seguirà una breve cerimonia al monumento ai caduti.

6 novembre: ore 15-17: Ute: Il dr. Creuso parlerà di natura madre e matrigna – a seguire la                                              prof. Russo parlerà su : C’è abbastanza cibo per tutti?

7 novembre: ore 21  presso la parrocchia di Arcellasco, si terrà lo spettacolo                                                    “Virginia” ispirato a vicende vere legate alla Prima                                                         guerra Mondiale  . la rappresentazione è realizzata                                                           dal gruppo teatrale di Albavilla

 

C’ è solo la difficoltà della scelta….. Buona settimana ….

      “ VIRGINIA” -STORIA E CANTI DI UNA DONNA E LA GUERRA-
                                                             SABATO 7 NOVEMBRE- ORE 21
Lo spettacolo è messo in scena dal TEATRO GRUPPO POPOLARE di Albavilla ed è scritto
e interpretato da C. CAZZANIGA con la SCHOLA CANTORUM CORALBA. La regia è di G.GIUSTI.

Accade a Erba: In settimana…

Il mese di ottobre è denso di avvenimenti qui ad Erba ; tra quelli di questa settimana vorrei segnalare quelli che io preferisco:

Giovedì sera al Teatro Excelsior – Galà di balletto  (con la Cosi).

Sabato mattina sempre all’ Excelsior : suggestioni ed immagini sull’ invecchiamento attivo (per ripercorrere le tappe più importanti del bel progetto svoltosi in città).

Ci sono poi i tradizionali e interessanti appuntamenti all’ UTE del martedì e del Venerdì.

Martedì 13 : Viaggio in Brianza tra alimentazione, salute e malattia dall’800 all’ EXPO 2015.

Venerdì 16: Filosofia: Chaos e cosmos : le cosmologie dell’ antica Grecia.

Medicina: Come siamo fatti e come funzioniamo: cellule, tessuti, organi            apparati e sistemi….

Credo che non ci si possa lamentare….