Non so quanti venerdì notte, giorno della memoria, siano rimasti svegli fino a tardi e siano rimasti sintonizzati su Rai1 dopo la bella trasmissione dal “Binario 21” e il film in tema che ne è seguito.
Chi fosse rimasto davanti alla Tv avrebbe potuto seguire un film-documentario veramente traumatizzante: “Il respiro di Shlomo”.
Shlomo Venezia era un ragazzo di origine italiana; catturato a Salonicco venne deportato in Germania e lì, essendo piuttosto robusto, venne messo a lavorare ai forni crematori…. credo la più orribile delle condanne: lui, schiavo, doveva assistere all’esecuzione di altri schiavi solo più deboli di lui.
Shlomo, con lucida freddezza, sul luogo in cui sorgevano i forni crematori, spiegava come avveniva l’avviamento alle camere a gas dei prigionieri, che dopo giorni e giorni di un viaggio allucinante, credevano davvero di poter fare una doccia. Si affrettavano a procurarsene una e cominciavano a pregustarne il sollievo, ma da quelle docce veniva invece la morte. Shlomo li vedeva urlare di dolore e di paura, tendere le braccia al cielo e poi cadere tra lamenti strazianti. A quel punto interveniva il Sonderkommando, il gruppo cui apparteneva Shlomo. C’erano tanti cadaveri da rimuovere e da portare ai forni, ma prima Shlomo doveva tagliare i capelli delle donne, metterli in un sacco e periodicamente un camion veniva a portare via quei sacchi. Shlomo ha raccontato anche che al suo arrivo, uno dei prigionieri assegnato al Sonderkommando si è rifiutato di entrare nella camera a gas per cominciare il suo lavoro; un soldato tedesco gli ha ripetuto più volte il comando, ma quel ragazzo ha continuato a rimanere impietrito davanti all’orrore che si era spalancato davanti ai suoi occhi. Il soldato gli puntò la pistola alla tempia senza ottenere risposta e sparò. “E’ stato il più fortunato” ha commentato Shlomo, che ha dovuto anche accompagnare in quella camera della morte anche dei parenti … E’ stato a questo punto che gli è mancato il respiro per un attimo.
Quella freddezza nel raccontare, cui ho accennato prima, mi dava ancora più angoscia che se la voce fosse stata rotta dall’emozione. Qual è il livello di sofferenza che scava talmente a fondo nell’anima di un uomo fino a costringerlo a costruirsi una corazza tanto impenetrabile? Shlomo non aveva mai parlato di quel periodo nei lager con i suoi figli: non voleva che la sua sofferenza rompesse gli argini che aveva faticosamente costruito e traboccasse ferendo i suoi cari.
Dicono che tornato a casa stesse molto a lungo in silenzio e immagino che nella sua mente rivedesse quel periodo della sua vita e fosse oppresso dai sensi di colpa per essere sopravvissuto all’inferno.