UTE: Dostoevskij: l’anima russa e l’eredità spirituale. (sintesi di A. D’Albis)

In occasione del bicentenario della nascita di Fedor Dostoevskij (Mosca 11/11/1821 – San Pietroburgo 9/02/1881), il nostro docente, Don Ivano Colombo, ci ha proposto alcune lezioni su questo autore con lo scopo di farcelo conoscere meglio e per stimolarci alla lettura delle sue opere. I lettori, di tutte le età, infatti, quando si avventurano nelle sue storie, hanno difficoltà a proseguire, Solo quando riescono a superare una certa soglia, i racconti di Dostoevskij avvincono.

Dostoevskij tenta, nei suoi racconti e romanzi, di scavare e far venire allo scoperto l’anima del popolo russo. La Russia, infatti, pur appartenendo geograficamente all’Europa non è uniformabile agli altri stati europei.

Dostoevskij critica spietatamente il mondo occidentale perché sta perdendo la sua “spiritualità”, sta smarrendo la sua “anima” e sta inseguendo la rivoluzione tecnologica e il miraggio della ricchezza. Da questo mondo senza “anima” e senza “fede” provengono i “demoni” che stanno corrompendo la Russia.

Dostoevskij è un” profeta” perché percepisce tutti i mali che affliggeranno la Russia. Egli va alla ricerca dell’anima russa scrivendo romanzi e non saggi filosofici, perché il suo scopo è di suscitare attenzione e riflessione nella gente comune e non solo negli studiosi e nei filosofi.

Altri autori suoi contemporanei hanno usato la filosofia nelle loro opere. Don Ivano ne cita alcuni tra cui Leopardi che ha trasformato in poesia le sue riflessioni sulla vita.

Dostoevskij usa il romanzo perché non vuole proporre ideali che si possano trasformare in ideologie e inventa personaggi che somigliano ai suoi lettori e che vivono i loro stessi problemi. Dostoevskij si identifica con le persone e non con le idee. Egli privilegia la visione interiore, identificandosi con i suoi personaggi e vivendone totalmente il loro dramma interiore.

Il docente passa, poi, a commentare un racconto di questo autore:” Il sogno di un uomo ridicolo”. Questo racconto parla di un uomo “ridicolo”, perché considerato tale dagli altri, che, arrivato a un punto di totale indifferenza, decide di suicidarsi. Tuttavia non lo fa subito. Una notte di novembre, decide di togliersi la vita, ma incontra una bambina che piange disperata e che chiede il suo aiuto perché la sua mamma sta morendo. Questo incontro lo salva: il dolore innocente è la nostra ancora di salvezza.

L’autore ci parla anche del “sogno” che è una visione più profonda della realtà e si proietta nel futuro.

Don Ivano conclude sottolineando che Dostoevskij è un “profeta”, non solo perché vede i riflessi negativi di certe ideologie per il suo Paese, ma anche perché avverte che la possibile “salvezza” viene dalla sofferenza innocente ed è universale.

Questa è la “speranza”.

Grazie, Angela!!!