Ricordando Vincenzo.

Il mese di febbraio mi riporta al ricordo di alcune persone a me care che proprio in questo mese hanno lasciato questa terra. Tra queste, c’è mio fratello Vincenzo. Era di poche parole, tanto da sembrare scorbutico a chi non lo conosceva bene, ma sotto quell’apparenza burbera si nascondeva una grande sensibilità e una generosità ammirevole. Aveva 15 anni più di me e per questo io avevo appena sei anni, quando lui si è allontanato da casa, ciononostante la sua presenza nella mia vita è stata molto importante e ne voglio parlare qui.

Vincenzo aveva finito la quinta elementare e aveva dimostrato intelligenza vivace e volontà di continuare a studiare.
Del resto mio padre era convinto, come molti a quel tempo, che era importante far studiare soprattutto i figli maschi e quello era il primogenito. Vincenzo però era ancora piccolo e mingherlino e mio padre decise che era troppo pretendere che affrontasse le fatiche di andare alla più vicina scuola media (a 15 Km) perciò lo iscrisse di nuovo in quinta elementare: un anno in più poteva fargli acquisire maggiore sicurezza…

Il maestro che si vide arrivare questo ragazzino, lo etichettò subito come “ripetente” e decise che non occorreva dedicargli molte attenzioni; mio padre allora lo affrontò e gli fece capire che quel ragazzo stava sì ripetendo l’anno, ma solo per una precisa scelta di famiglia. Da quel momento il maestro cambiò atteggiamento e si prodigò perché Vincenzo potesse prepararsi in maniera adeguata per la scuola media.


Si era in tempo di guerra: i treni non funzionavano più, non c’erano altri mezzi di trasporto pubblici e l’ unico modo per raggiungere le scuole era di arrivarci in bicicletta.

Quel ragazzino di 11 anni, piuttosto mingherlino, tirò fuori un coraggio che oggi sembra fuori dell’ ordinario: tutte le mattine si faceva più di un’ ora di bicicletta insieme ad altri due o tre ragazzi del paese.
Lo immagino d’ inverno uscire di casa col buio, mentre la brina o la neve imbiancavano il panorama, inforcare la sua vecchia bici e pedalare di buona lena per scaldarsi fino a raggiungere la sua scuola e lì cominciare la sua giornata di studente. Mia madre mi raccontava che lo avevano soprannominato “maglia verde” per il fatto che lei gli lavava la sera quella maglia che doveva rimettere la mattina seguente.
A costo di tanti sacrifici riuscì a diplomarsi radiotecnico e io lo ricordo alle prese con la radio di qualche vicino che gli chiedeva di sostituire una valvola o di saldare qualche filo che non faceva più contatto.
Poi venne il lungo servizio militare e subito dopo la sua partenza per Torino, poi a Roma e in giro per l’ Italia per lavoro. Scriveva abbastanza spesso e quando arrivavano le sue lettere eravamo tutti contenti e cercavamo di immaginare come fosse la sua vita di ragazzo solo in queste grandi città
Poi mio padre si ammalò e dovette smettere di lavorare; io ricordo come tutti aspettavamo i soldi che mio fratello continuava a mandare a casa; avevo dieci anni e da allora sento per lui una grande gratitudine: senza il suo sostegno economico io non avrei potuto studiare …Una volta, stava tornando a casa per una delle sue periodiche visite e si fermò davanti alla scuola per aspettare l’ora dell’uscita. Io rimasi molto sorpresa e ne fui felicissima. Camminando insieme verso casa, riuscii a raccontargli tutte le novità di famiglia così che, quando mia madre pensava di aggiornarlo, si sentiva rispondere invariabilmente: “Lo so già, me lo ha detto la Diana”.

Negli ultimi anni, quando anch’io ero ormai in pensione, ci tenevamo sempre in contatto tramite il mio blog: spesso mi mandava dei commenti ai miei post e ho scoperto in lui, spesso taciturno e severo, una vena umoristica spiccata che me lo rendeva ancora più caro.

Una volta, scrivendo dei giorni appena precedenti la fine della guerra, quando si scatenò dalle nostre parti una sanguinosa resa dei conti, io attribuii quegli eventi luttuosi a vecchi rancori…. Ecco cosa mi scrisse Vincenzo, che quei giorni li aveva vissuti da adolescente..

Cara Diana,
tu parli di vecchi rancori per antichi torti,  perchè quando hai cominciato a farti delle domande erano già passati diversi anni dal 1945. Bisogna però ricordare che quel tipo di torti non ha influenzato solo la vita di un giorno, ma sono rimasti appiccicati sulla pelle di chi li ha subiti, perchè erano diventati cittadini di serie B, per non parlare di quelli che, oltre alle manganellate e all’olio di ricino, sono finiti in carcere o esiliati o addirittura uccisi… quindi il rancore non è mai invecchiato, ma rinnovato e acuito giorno dopo giorno.
Dopo l’8 settembre 1943….. coloro che si trovavano al Nord  dovettero decidere se andare sulle montagne, rischiando la vita qualora fossero catturati, o aderire alla Repubblica Sociale. Ognuno in pochi giorni dovette scegliere il proprio destino senza avere l’esatta coscienza della realtà che viveva.
Ebbe cosi inizio una impari guerra civile tra partigiani  e i cosidetti Repubblichini voluti e sostenuti dalle SS tedesche.
In ogni guerra civile l’odio aumenta di giorno in giorno, fino ad arrivare all’assurdo e nella nostra zona, a pochi giorni dalla Liberazione, furono trucidati una decina di ragazzi   trovati nascosti   in un fienile e conosciuti dalla nostra gente; di loro è rimasta una delle tante lapidi di cui è costellata  la nostra Emilia.
I parenti e amici di queste vittime,  che nei giorni del caos perdettero la testa, non agirono per  vecchi rancori , ma per le gravi ferite causate dall’odio imperante di quei terribili giorni.
Da allora a oggi sono passati tanti anni , quasi tutti i responsabili non ci sono più , non ha più senso   serbare rancori
Non dimentichiamo però quel che successe allora.
Chi non conosce o dimentica il passato prima o poi ricade negli stessi errori e questo  sarebbe, oltre che intollerabile, anche colpevole.
Quel lontano 25 Aprile è stato veramente un gran bel giorno.
Da allora la parola Libertà ha avuto un buon sapore. …

Dopo aver assistito la moglie per anni con grande dedizione, Vincenzo, rimasto solo, non accettò l’idea di curare quei disturbi che pure accusava da tempo: si sentiva ormai alla fine e l’unico suo pensiero era quello di non dover pesare sugli altri. E cos,ì un giorno di febbraio, dopo aver rassicurato la figlia dicendo che stava bene, che non c’era motivo che si preoccupasse per lui, il suo cuore si è fermato per sempre: se ne era andato senza recare disturbo, come aveva tanto sperato.