UTE: Dante nell’Italia del suo tempo.

La politica per Dante è partecipazione alla vita della città, intesa come insieme di cittadini che vogliono camminare insieme nella Storia.

la Firenze di danteDopo essere stato cacciato da Firenze, andrà peregrinando per varie città in cerca di un luogo in cui trovare lavoro e serenità, ma avrà  sempre nel cuore il desiderio di rientrare nella sua città natale, ma il suo sogno non si realizzerà mai.

Mentre di Firenze parla nell’Inferno, perchè ne ha conosciuto tutti i mali (primo di tutti l’avidità), è nel Purgatorio che parla dell’Italia, perchè, anche se essa condivide molti dei mali della sua città, è, secondo Dante, ancora redimibile se riuscirà a superare le sue divisioni, le contrapposizioni tra territori diversi e tra classi sociali diverse. Ci sono infatti nell’Italia di quel tempo i Signori, il cui diritto di proprietà delle terre è riconosciuto dall’imperatore o dal Papa e dall’alto dei loro castelli controllano il territorio sotto la loro giurisdizione; nelle città, come a Firenze, il potere è nelle mani della borghesia (termine che significa abitante del borgo) che dispone di molto denaro; ci sono poi gli appartenenti al popolo minuto, che lavorano per i borghesi.

Tra il 1302 e il 1310, Dante compone due opere in latino: il De vulgari eloquentia e il Convivio e, a intermittenza si dedica anche alla sua Commedia. Nel frattempo si sposta in diverse città, lavorando per i Signori del luogo nella stesura di documenti.

Si stabilì anche a Bologna, città in cui aveva studiato da ragazzo e dove molte erano le attività legate alla locale rinomata università, ma dovrà andarsene quando salirà al potere la fazione avversa alla sua  e allora si rifugerà sull’Appennino, ospite dei Malaspina, sperando in un loro appoggio per tornare a Firenze, visto che, come lui, sono favorevoli a un intervento dell’imperatore Enrico VII per portare pace e concordia in Italia e a Firenze.

Questa sua illusione, che finirà con la precoce morte di Enrico VII a Pisa (dove è sepolto), rappresenta il limite della visione politica di Dante, che auspica un impossibile ritorno al passato.

La sua grandezza come poeta, comunque, è indiscutibile e a lui si deve il grande merito di aver dato origine alla nostra lingua.