Film: Fury

Ieri sera, con Samuele e Grazia, ho visto il film “FURY” del 2014, interpretato da Brad Pitt.

E’ un film di guerra e la sua trama può essere letta QUI.

Inizialmente la storia mostra con crudezza gli orrori della guerra e come ogni regola venga stravolta in situazioni tanto sconvolgenti: le norme basilari della convivenza civile vengono violate anche da quelli che ritengono di combattere per una causa giusta: l’abbrutimento è la norma.

Poi a mano a mano che il racconto si svolge viene messo in evidenza lo spirito di corpo che si viene a creare tra chi vive in quell’inferno e si arriva ad esaltare il sacrificio e l’eroismo di chi accetta di affrontare una morte certa per portare a termine la propria missione anche in condizioni estremamente disperate.

Senz’altro Brad Pitt in questo film non ha puntato sul suo aspetto fisico: appare invecchiato, sporco, pieno di rughe e ha dato un’interpretazione apprezzata dalla critica e dal pubblico, ma una cosa mi ha molto infastidito: i protagonisti della storia arrivano a definire la guerra “il mestiere più bello del mondo” !!! E questo per me è inaccettabile.

Poesia: Temporale in città (T. Hardy)

(Una reminiscenza 1893)

Indossava un abito di “terra-cotta”,
E siamo rimasti, a causa della tempesta battente,
nella nicchia asciutta della carrozza,
anche se il cavallo si era fermato; sì, immobile
Ci sedemmo, comodi e al caldo.

Poi l’acquazzone cessò, con mio grande dolore,
e il vetro che prima aveva coperto le nostre forme
si alzò e lei uscì di corsa verso la sua porta:
L’avrei baciata se la pioggia
fosse durata un minuto di più.

Non so, ma credo che questa poesia abbia ispirato Armando Gill nella composizione della sua canzone “Come pioveva”.

Cliccando sul link sottostante, la si può riascoltare nell’interpretazione di Achille Togliani, un cantante che, quelli della mia età, ricordano bene.

https://www.google.com/search?q=come+pioveva+canzone&rlz=1C1ONGR_itIT931IT931&oq=come+pioveva+canzone&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUyCQgAEEUYORiABDIHCAEQABiABDIICAIQABgWGB4yCAgDEAAYFhgeMggIBBAAGBYYHjIICAUQABgWGB4yCAgGEAAYFhgeMggIBxAAGBYYHjIKCAgQABiABBiiBDIHCAkQABjvBdIBCDU5ODlqMGo3qAIIsAIB8QUP9qM8Cm8ozfEFD_ajPApvKM0&sourceid=chrome&ie=UTF-8#fpstate=ive&vld=cid:47d8ba36,vid:fdd2ISUtp8o,st:0

La “Mae querida”

Nel 1717, tre pescatori, Joao, Pedro e Felipe, dopo una lunga e infruttuosa pesca, ripescarono spezzata in due una piccola statuetta di terracotta: era nera, come gli schiavi che numerosi popolavano il Brasile, e spezzata come le vite di questi uomini privi di libertà. I pescatori la baciarono con venerazione e, subito dopo, le loro reti si riempirono di pesci. Felipe portò il piccolo simulacro, alto appena 30 cm e del peso 3 Kg., nella sua casa , dove rimase per 15 anni; lì si radunavano per pregare i vicini e gli amici. La notizia di alcuni miracoli attribuiti alla Madonnina Nera si diffuse e molte persone si recavano da Felipe; a quel punto, suo figlio costruì una piccola cappella per accoglierle. La diffusione del culto della Madonna Aparecida ha reso famosa in tutto il mondo la città che ha preso il suo nome, Vi affluiscono ancora oggi tantissimi pellegrini da tutto il Brasile, dall’America Latina e da ogni parte del mondo e, per accoglierli è stata costruita la più grande chiesa del mondo, seconda solo a San Pietro: può contenere fino a 46miòa fedeli. I brasiliani possono anche essere atei o seguire religioni diverse, ma per tutti la Madonna Aparecida è la “Mae Querida” ( Madre Amata) che s accogliere e confortare tutti quelli che sono nel bisogno e nell’angoscia.

Quel misterioso dipinto sulla “tilma”

Come ho già detto ieri, facendo le ricerche per la mostra su santuari e pellegrinaggi, ho incontrato storie affascinanti che non conoscevo. Oggi racconto la storia della “tilma” di Guadalupe.

Nel 1531, il Messico era terra di conquista degli Spagnoli e i nativi non erano nemmeno considerati umani, ma proprio a uno di loro, Juan Diego, una mattina di dicembre, sulla collina di Tepeyac (vicina a Città del Messico), apparve una bellissima giovane donna incinta che gli chiese di dire al suo vescovo di far costruire su quella collina una chiesa.

Il povero vecchio andò dal vescovo, che chiese a sua volta una prova della veridicità di quell’apparizione. Juana Diego riferì alla Signora, che gli apparve una seconda volta, la richiesta del prelato. La Madonna allora gli ordinò di salire sulla cima della collina e di raccogliere dei fiori che sbocciano solo in primavera (ma era dicembre), il vecchio obbedì e con sua sorpresa trovò effettivamente un prato pieno di fiori. Li raccolse e li mise nel suo mantello intessuto con fibre di agave e andò dal vescovo. Quando fu alla sua presenza, aprì il mantello sul quale era rimasta impressa l’immagine della Madonna che gli era apparsa: il mantello azzurro, l’abito rosa, la cintura tipica delle donne indie incinte e, sotto i suoi piedi, un serpente (da qui il nome di Guadalupe che nella lingua dei nativi del tempo significava “colei che schiaccia il serpente”.

Molti studi sono stati fatti su quel dipinto, ma nessuno ha ancora potuto spiegare come sia stato eseguito e con quali sostanze, proprio come nel caso della Santa Sindone di Torino.

Con questa apparizione a un povero vecchio della loro etnia, ultimo tra gli ultimi, gli Indios videro riconosciuta la loro piena dignità di esseri umani e creature di Dio e molti si convertirono al Cristianesimo.

Una donna coraggiosa d’altri tempi: Egeria

Anche quest’anno, per la festa patronale di Arcellasco, il gruppo culturale ha preparato una mostra (è ormai una tradizione). Il tema che è stato scelto, per quest’anno giubilare, era “In cammino verso i luoghi del sacro”, cioè più semplicemente “santuari e pellegrinaggi”.

Accingendomi a questa impresa, mi sono subito imbattuta in una donna, che non conoscevo: Egeria, la nobildonna ispanica che, negli anni 80 del IV secolo dopo Cristo, ha intrapreso un pellegrinaggio durato quattro anni verso i luoghi della Terra Santa. Da pochi decenni i Cristiani potevano professare liberamente la propria fede e, subito dopo l’editto di Milano del 313, molti avevano sentito il bisogno di andare nei luoghi in cui Gesù era nato e vissuto; tra questi anche la madre dell’Imperatore Costantino, Sant’Elena, ma nessuno aveva lasciato memoria del suo pellegrinaggio.

Egeria, invece, ha descritto minuziosamente luoghi, usanze, atmosfere, riti e cerimonie religiose del tempo, in un latino fresco, spontaneo e altamente comunicativo.

Come ha potuto una donna di quei tempi intraprendere un tale viaggio? Doveva essere una ricca vedova, con agganci politici di alto livello, perchè ha potuto godere di protezione delle autorità civili e religiose del tempo e persino di scorte militari quando si inoltrava in luoghi pericolosi. Partendo dalla Spagna, era arrivata a Costantinopoli e da lì nella penisola Anatolica fino poi ad arrivare nel Sinai in Egitto, fermandosi, naturalmente a lungo, a Gerusalemme.

Egeria ha certamente potuto godere di condizioni privilegiate, ma è comunque stata una donna molto coraggiosa, dalla cultura e dalla sensibilità raffinata, come si evince dal suo diario di viaggio.