In rete.

In rete scrivi, commenti,vai da un blog all’ altro discutendo delle cose più varie: politica, ricordi, cronaca,  bambini e dapprima ti riesce difficile immaginare chi ci sia dietro quelle pagine virtuali,
ma basta una parola  sfuggita tra le tante che scorrono e intravedi un’ umanità imprevista:

un amore finito e dolente, un lavoro precario che rende precaria anche l’ esistenza,                                      
una donna che trepida nell’attesa di una nuova vita,
una malattia  angosciante che rende incerto il futuro,
l’ amarezza di troppe delusioni  che  tolgono la speranza,
vicende dolorose. che lacerano l’ anima..
Tante tensioni prendono forma…
e si delineano lentamente
degli occhi, dei visi, delle mani
che tremano,  sperano o pregano….
e ti senti avvolgere da una calda umanità

Comple-blog

Giusto tre anni fa , cominciavo a scrivere sul mio primo blog “ELDAS” dedicato a ELisa, DAvide e Samuele i miei tre stupendi nipotini.  Ricordo come mi sentivo piena di stupore di fronte a questa possibilità di comunicare per me del tutto nuova . Per prendere un po’ di coraggio e anche per vedere come funzionava il marchingegno,  avevo scritto il primo post chiedendo in prestito  a S. Quasimodo le sue parole, rare e preziose come perle.

Ognuno sta solo sul cuore della terra

Trafitto da un raggio di sole.

Ed è subito sera.

Quanto amore per la vita , sempre troppo breve, e quanta compassione per la solitudine, che accompagna ogni esistenza, sono racchiusi in quelle parole! Mi commuovono sempre!

Quasimodo mi perdonerà se l’ ho usato come cavia e come apripista.

Da allora  sono seguiti molti post  su Eldas e qui su questo blog : chissà quante cialtronerie ho scritto, ma questi  spazi mi hanno regalato momenti piacevoli e mi hanno dato modo di “conoscere e incontrare” , anche se solo virtualmente, tante persone delle quali ho imparato ad apprezzare l’ intelligenza, la sensibilità, l’ arguzia e la passione civile.

Grazie a voi tutti  che  avete avuto la pazienza di leggere e la bontà di lasciare i vostri commenti.

Si muore di più sul lavoro che in guerra…

http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=155020&utm_source=Rainews24+via+twitterfeed&utm_medium=twitter&utm_campaign=news

Oggi: un ragazzo di 28 anni abruzzese, muore in un cantiere in Val d’ Aosta : è caduto, nessuno sa come, su un cumulo di tubi ed è morto. Era lontano da casa per guadagnarsi da vivere.

http://www.lettera43.it/cronaca/22036/l-ultimo-saluto-al-militare-tobini.htm   Ieri: a Roma è stato celebrato il funerale di un ragazzo di 28 anni, morto in Afghanistan. Anche lui era lontano da casa per guadagnarsi da vivere. E’ la quarantunesima vittima in dieci anni di guerra.

So già che la notizia di oggi non riempirà i giornali e non avrà l’ attenzione delle maggiori autorità , d’ altra parte come potrebbe essere diversamente? Dall’ inizio dell’ anno sono già 365 le vittime per incidenti sul lavoro ….. come si può leggere sul sito dell’ “Osservatorio indipendente morti sul lavoro”  http://cadutisullavoro.blogspot.com/

Eppure sono certa che il dolore della mamma dell’ operaio sarà straziante come quello della mamma del parà, solo che non sarà abbracciata da Napolitano e non avrà nessun basco da mettere in testa durante il funerale…. Quando si farà qualcosa perchè i luoghi di lavoro siano sicuri almeno come i teatri di guerra per i ragazzi italiani?

Decalogo o alibi?

http://www.giornalettismo.com/archives/135087/il-decalogo-antistupro-che-offende-le-donne/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter

Chissà, come può accadere che tra  certe tribù di Indios dell’ Amazzonia o tra i Boscimani dell’ Africa le donne possano camminare tranquillamente coperte solo da un tanga, senza che questo autorizzi i maschietti ad aggredirle ad ogni piè sospinto?

Chissà se a Londra, dove puoi vedere donne in burqa e donne che, anche in pieno inverno, girano coperte da pochi centimetri di stoffa,  è stato pubblicato qualcosa di simile al decalogo per la “sicurezza” delle donne pubblicato con la sponsorizzazione del Comune di Roma ?

Al giorno d’ oggi certo qui da noi non si possono cancellare  i sedimenti culturali accumulatisi nel corso dei secoli e abbigliarsi in modo decente è  una questione di buongusto , ma nessun abbigliamento può costituire un alibi per un eventuale aggressore sano di mente .

Pertanto l’ amministrazione di una grande città deve preoccuparsi solo  di rendere sicure le sue strade e di educare i suoi amministrati a fissare nella mente un principio fondamentale : ogni persona, comunque sia abbigliata, ha diritto a camminare per le strade tranquillamente: è la persona che va rispettata e non il suo modo di vestire.

Questo decalogo ha tanto il sapore di un alibi per nascondere la propria impotenza.

Tentare il suicidio per affermare un diritto.

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/07/23/news/no_alle_nozze_combinate_tenta_di_uccidersi_con_lacido-19495935/?ref=HREC1-6

Un altro caso di negazione del diritto di autodeterminazione delle donne. Una sedicenne di origine pachistana tenta il suicidio bevendo dell’ acido per sottrarsi a un matrimonio combinato e imposto dai maschi di famiglia.

Chissà quanti casi  di soprusi di questo genere restano sconosciuti perchè non sfociano in tragedia, ma vengono subiti nel silenzio e nell’ umiliazione.

 Diventa sempre più necessario a mio avviso che i cittadini stranieri che vivono qui, vengano coinvolti in corsi di istruzione sui principi fondamentali della nostra Costituzione , in particolare per quanto riguarda i diritti delle donne e il diritto di famiglia .  Certe tradizioni (che non derivano dall’Islam) , certe usanze tribali non devono  trovare cittadinanza qui da noi nè devono essere tollerate in alcun modo :

Pace in bici.

Grazie a una segnalazione di UNIMONDO, sono arrivata a questo sito http://www.beati.org/component/content/article/110-commemorazione-di-hiroshima-nagasaki-pace-in-bici-2011?start=1  che sta organizzando , come da alcuni anni a questa parte, una manifestazione per commemorare le vittime di Hiroshima e Nagasaki, intitolata “Pace in bici” .  Si prevede dal 5 al 9 agosto un itinerario tra diverse città del Veneto con tappa finale ad Aviano dove sono tutt’ ora custodite alcune bombe termonucleari.

Credo che questa manifestazione sia quest’ anno, dopo Fukushima, ancora più attuale e opportuna, per tenere alta l’ attenzione su ciò che può accadere privilegiando gli investimenti sull’ energia nucleare, che le tecnologie attuali non sono ancora in grado di controllare.

Visto il tema di oggi, voglio qui copiare la parte finale di una bella poesia di Eugen Jebeleanu: PERDONO, HIROSHIMA.

……..

Voler piangere e non poter stringere fra le braccia
nemmeno un’urna, una tomba almeno.

Dove sono i tuoi bambini, Hiroshima? Forse
nell’oceano
d’argento indifferente.
Forse nel mausoleo infinito
del cielo.
O forse, proprio su questa terra
che io calpesto.
Ogni passo io lo traccio con timore.
Ogni pezzo di terra
nasconde una bara.
Mi sembra che la terra
da me calpestata gridi: – Mamma.

Ahi, aria di smalto, dammi le ali,
che io mi innalzi leggero
per non urtare col passo delle ferite,
che l’ala mia tagli l’aria, come d’angelo.
Ma sfavillando dalle migliaia di lesioni,
si avvicina Hiroshima a me,
si avvicina e si china piano
e mi fa segno:
vieni, amico                                 
e vedi ciò che è stato,
ciò che è.
E narra.

C’ è sempre da imparare…. anche dalle pecore.

Ieri, camminando tra Proserpio e Castelmarte, due tranquilli, silenziosi e deliziosi paesini sopra Erba, mi è capitato di vedere a un certo punto un piccolo gregge  su un prato in cui l’ erba alta doveva essere particolarmente appetitosa..

 Sono rimasta qualche momento ad osservarlo e quello che mi ha sorpreso è che nel brucare l’ erba le pecore procedevano strettamente a contatto e non si allontanavano mai l’ una dall’ altra. C’ era certamente un capo all’ interno del gregge che dirigeva le mosse e tutte le altre seguivano le sue indicazioni con una compattezza e una sincronia incredibile.

Credo che quel comportamento fosse indotto dal numero esiguo da cui era composto il gregge e dal fatto  che non c’ erano nè un pastore, nè un cane da pastore alle viste e questo stare uniti io l’ ho interpretato come una strategia difensiva: uno per tutti, tutti per uno.

Anche dalle pecore si può imparare qualcosa : spesso noi umani, che ci riteniamo tanto “superiori” , nelle difficoltà tendiamo a beccarci tra noi, a puntare il dito contro l’ altro , a rimpallarci le responsabilità…. le pecore no… procedono a stretto contatto, difendendosi reciprocamente: il bene del gruppo è anche il bene del singolo.