UTE: Biodiversità – La poesia femminile del ‘500

Il prof. Gatti aveva interrotto il suo discorso nell’ultima lezione con la promessa di parlarci di un particolare prodotto comasco: la cipolla di Brunate; ecco che, mantenendo la parola data, oggi ci ha puntualmente aggiornato su questo prodotto, che aveva rischiato di scomparire, ma che ora sta beneficiando dell’interesse di molti appassionati, che hanno dato vita a un’associazione.

I suoi bulbi hanno forme e dimensioni variabili, l’interno è bianco ed emana profumo intenso; viene seminata a marzo e la sua pianta ha un ciclo biennale. Dopo essere stata trascurata per parecchio tempo, ora viene rimessa in commercio. Viene utilizzata in gastronomia e viene apprezzata per il suo sapore delicato; la sua polpa è croccante e viene utilizzata per piatti tipici come la zuppa di cipolle, la luganiga e cipolle e la fitascetta (piatto povero della tradizione comasca).

Sono certamente rare le specie autoctone di ortaggi, infatti la maggior parte delle specie coltivate oggigiorno sono state introdotte in Italia prima dai Greci e dai Romani, poi altre sono state importate dall’America dopo il 1492.

Con l’andare del tempo, le piante si adattano alle condizioni ambientali in cui vivono e ciò ha dato origine a varietà locali con caratteristiche specifiche; a creare tale varietà di prodotti, ha contribuito anche la separazione per molti secoli dei vari staterelli che erano presenti sul territorio italiano.

Ma, oggi, la biodiversità è fortemente minacciata anche nell’ambito degli ortaggi, perché, per esigenze commerciali, vengono privilegiati i prodotti uniformi, di bell’aspetto e adatti alla commercializzazione, mentre vengono abbandonate le specie meno produttive.

Chi vuole oggi praticare un’agricoltura eco-compatibile, deve trasformare la propria azienda e affiancare alla produzione agricola servizi diversi; fortunatamente si va facendo strada una più raffinata sensibilità dei consumatori che sanno apprezzare i prodotti più ecologici e più “naturali”

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LA POESIA FEMMINILE DEL ‘500 – Prima dell’invenzione della stampa i libri erano merce molto rara e costosissima. Infatti la pergamena richiedeva una lunga preparazione e i testi dovevano essere scritti a mano, perciò possedere un libro era paragonabile a possedere oggi un’auto Ferrari!! . Così ha esordito oggi la prof. Granata per poi proseguire con il tema della sua lezione.

Con l’invenzione della stampa il libro diventa più accessibile e si presta a una lettura personale più intima; a Venezia lo stampatore Aldo Manuzio introdusse molte innovazioni nell’arte della stampa e stampò (nel 1501) i primi libri tascabili (Virgilio, Petrarca).

Nel 1520, l’Italia era disastrata e il mecenatismo era in decadenza, tuttavia si diffuse la pubblicazione di diversi trattati: su come si doveva comportare il Principe, su come ci si doveva comportare a corte o a tavola. In quel periodo però le pubblicazioni risentivano delle parlate locali perché erano infarcite di termini usati solo in certe zone. Fu a questo punto che Pietro Bembo cercò di stabilire delle regole che valessero per tutto il territorio italiano e decise che chi voleva scrivere in poesia dovesse rifarsi al linguaggio e allo stile del Petrarca e chi volesse scrivere in prosa doveva avere come modello il Boccaccio. A poco a poco il linguaggio del Petrarca entra nella comunicazione quotidiana fino a diventare una moda.

E’ a questo punto che cominciano ad affermarsi anche delle poetesse; provenivano dalla nobiltà e accoglievano amici e intellettuali nei loro salotti per discutere di filosofia e di letteratura. Tra queste donne ricordiamo soprattutto Vittoria Colonna e Gaspara Stampa. Quest’ultima è musicista e cantante e scrive poesie per l’innamorato che l’ha lasciata. Riorto qui una delle sue composizioni

O diletti d’amor dubbi e fugaci,
O speranza che s’alza e cade spesso,
E nasce e more in un momento istesso
O poca fede, o poche lunghe paci! 

Quegli a cui dissi: -Tu solo mi piaci,- 
È pur tornato, io l’ho pur sempre presso,
Io pur mi specchio e mi compiaccio in esso,
E ne’ begli occhi suoi chiari e vivaci;

E tuttavia nel cor mi rode un verme
Di fredda gelosia, freddo timore
Di tosto tosto senza lui vederme

Rendi tu vana la mia tema, Amore,
Tu, che beata e lieta poi tenerme
Conservandomi fido il mio signore.

Oggi si festeggia S. Ambrogio.

Ambrogio nacque a Treviri nella Gallia, con molta probabilità nel 334, da un alto funzionario dell’amministrazione imperiale. Morto il padre quando Ambrogio era ancora bambino, la madre si trasferì con i figli, il piccolo Ambrogio, Marcellina e Satiro, a Roma. Non sappiamo molto dell’infanzia e dell’adolescenza di Ambrogio. Dopo il primo corso scolastico, secondo l’uso dei tempi passò agli studi di retorica. Ebbe una formazione non solo letteraria, ma anche giuridica e musicale e nella sua famiglia ricevette una solida educazione cristiana; ma rimase catecumeno.
A 25 anni fu inviato, come prefetto del pretorio, a Sirmio in Pannonia; nel 370 circa, passò, come governatore, nella provincia della Liguria e dell’Emilia e poi a Milano. Qui esercitò la magistratura in maniera tanto “equa e paterna” da attirarsi la benevolenza di tutti. Presente nel momento in cui la popolazione era in agitazione per l’elezione del nuovo vescovo, nell’aperta contesa tra ariani e cattolici, mentre Ambrogio s’interponeva con abilità per moderare i tumulti, una voce di fanciullo esclamò: “Ambrogio vescovo! ”. La folla accolse l’indicazione di quella voce e ne fece un grido insistente. Dopo il primo smarrimento, Ambrogio si arrese alla volontà di Dio manifestata attraverso il popolo. Fu battezzato il 30 novembre 373, e il 17 dicembre consacrato vescovo.
Il fratello Satiro lasciò Roma e la sua carriera di alto funzionario statale per venirgli in aiuto nell’amministrazione della diocesi e nella fabbrica delle chiese. Satiro morì pochi anni dopo, nel 378, e Ambrogio ne fece l’elogio funebre in due omelie, che sono un documento di amore fraterno e di speranza cristiana.
A Milano Ambrogio fu molto amato e apprezzato, per la ricchezza umana della sua persona e per la sua evangelica coerenza: egli infatti cedette i suoi beni alla Chiesa, riservandone solo l’usufrutto alla sorella monaca Marcellina, mentre egli visse in semplicità e sobrietà, cercando di aiutare tutti coloro che bussavano alla sua porta. Svolse un’attività pastorale intensissima, senza trascurare la frequentazione assidua della Scrittura. Ne sono testimonianza i numerosi scritti che ci ha lasciato, commenti esegetici, opere morali e ascetiche, elaborazioni dogmatiche e inni.
Con gli imperatori seppe tenere un atteggiamento mite e forte a un tempo, ottenendo il loro appoggio per porre fine alla questione ariana. Con i vescovi convocati al Concilio di Aquileia infatti, nel settembre 381, riuscì a chiudere la lunga stagione delle controversie che avevano diviso i cristiani.
Ambrogio morì a 57 anni d’età (23 d’episcopato) il 4 aprile, all’alba del sabato santo.

(dal sito chiesa di milano.it)

UTE – Letteratura coloniale – Don Milani: il Priore

Il periodo coloniale è caratterizzato da due tipi di letteratura:

  • racconti di viaggi di esplorazione dell’Africa come quelli di Gabriele Casati (Lesmo 1811 – Monticello Brianza 1882) :
  • romanzi romantico-decadenti incentrati sui misteri delle foreste equatoriali, sul fascino delle donne africane, sugli indigeni rappresentati come selvaggi e incivili, sulla bellezza di una terra incontaminata rispetto alla civiltà occidentale corrotta.
  • Tra gli scrittori di questa corrente troviamo Ferdinando Martini: governatore in Eritrea, fa un’analisi realistica dell’Africa, scevra da esotismi; non crede alla missione civilizzatrice, ma ritiene inevitabile la conquista di quelle terre da parte dei paesi più progrediti tecnologicamente.
  • Alfredo Oriani ritiene che l’Italia abbia una irrevocabile missione civilizzatrice assegnatale dal destino. Fu molto esaltato in epoca fascista dopo la sua morte
  • Enrico Corradini si rifà ad Oriani e fa suo il mito del “superuomo” di D’Annunzio. Afferma che le nazioni devono conquistare “un posto al sole” dove far confluire i propri emigranti (tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 furono 10milioni gli Italiani che migrarono verso Argentina e Stati Uniti). Nel 1911 appoggia la guerra per la conquista della Libia ed esprime disprezzo per Arabi e Turchi.
  • Giovanni Pascoli è un grande innovatore della poesia ottocentesca per i temi scelti e per la sensibilità nuova. Anche Pascoli appoggia le guerre di conquista, perchè vede come una tragedia il fenomeno della migrazione. Scrive poesie sulle sconfitte italiane in Africa, ma tali composizioni suonano come “forzate”, non spontanee: i temi nazionalistici non gli si addicono.
  • Gabriele D’Annunzio è un sostenitore dei regimi autoritari, appoggia la guerra in Libia, definisce il Mediterraneo “mare nostro” (come i Latini) ed esalta il mondo romano. Riporto qui di seguito le prime due terzine de “La canzone d’oltremare”

I miei lauri gettai sotto i tuoi piedi,

o Vittoria senz’ali. Ê giunta l’ora.

  • Tu sorridi alla terra che tu predi.
  • Italia! Dall’ardor che mi divora
  • sorge un canto più fresco del mattino,
  • mentre di te l’esilio si colora……
  • Ringrazio il prof, Galli per avermi fatto conoscere un aspetto di Pascoli che non sospettavo
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  • DON MILANI – Nominato Priore a Barbiana, apre subito una scuola serale per gli adulti, ma a causa dell’emigrazioni di questi verso la pianura, la sua scuola si svuota e don Milani allora rivolge la sua attenzione ai ragazzi e convince i genitori dell’importanza dell’istruzione. Comincia con un doposcuola gratuito aperto tutto l’anno, poi i ragazzi studiano a Barbiana e sostengono gli esami nelle scuole statali. Fa leva sulla lettura dei quotidiani perché ritiene prioritaria la padronanza della parola. Offre occasioni di viaggio ai suoi ragazzi, che tratta da padre. La scuola deve essere democratica, cioè offrire a tutti le stesse possibilità, ma gli insegnanti devono assumere un ruolo di guida.
  • Don Milani amava profondamente la Chiesa e per questo criticava aspramente ciò che non riteneva giusto, per questo si attirò l’ostilità delle gerarchie. Accadde anche in occasione di una sua lettera ai cappellani militari in cui sosteneva e caldeggiava l’obiezione di coscienza, in un momento in cui essa veniva punita con il carcere.
  • Nel 1960 comparvero i primi sintomi della malattia che lo porterà alla morte qualche anno dopo.
  • Sempre interessante e piacevole seguire le lezioni del prof. Cossi. Grazie!
  • (P.S. : mi scuso per la stranezza dell’impostazione grafica, ma non sono riuscita a correggerla)

Festa delle Associazioni all’Excelsior.

Ieri sera è stato bello vedere premiare tanti giovani per il loro impegno scolastico o per i risultati sportivi conseguiti in campo regionale, nazionale o addirittura internazionale. Sono state premiate anche intere classi degli Istituti Scolastici cittadini per i progetti realizzati con l’aiuto dei loro docenti. Questa sfilata di ragazzi pieni di entusiasmo e con tanta voglia di fare mi ha riempito il cuore di speranza: il futuro non può fare paura se sarà nelle loro mani.

Sono state poi festeggiate anche le associazioni che si occupano di solidarietà e che quest’anno hanno compiuto un “anniversario” importante. Tra queste è stata premiata anche la nostra UTE che vanta trent’anni di attività a beneficio dei cittadini adulti del territorio erbese: ha ritirato il riconoscimento il nostro Presidente dr. Umberto Filippi.

Come ha ricordato il Sindaco Caprani, l’Italia è il paese con la più elevata presenza di associazioni di volontariato e forse è per questo che il nostro paese continua ad andare avanti senza troppi scossoni: il volontariato sopperisce molto spesso alla mancanza di servizi efficienti e alle carenze delle istituzioni ufficiali.

W il volontariato ! W i volontari!!!

Dimenticavo: a rallegrare lo spettacolo è intervenuto il coro Gospel dell’ass. NOI, VOI , LORO che ha eseguito con grande bravura brani noti e meno noti molto applauditi dal pubblico in sala.

Il momento in cui il dr. Ghislanzoni legge la motivazione e consegna al dr. Filippi il riconoscimento .

UTE: Le Signorie minori: i Della Scala – Cure palliative: come, dove, quando

La nostra apprezzata e carissima docente Alberta Chiesa ha intrapreso, con questa lezione, un nuovo ciclo di lezioni su un aspetto della nostra storia non molto conosciuto dai più: le Signorie minori.

Per comprendere come siano nate le Signorie, fenomeno marcatamente italiano, bisogna rifarsi al periodo in cui le città italiane sono diventate Comuni. Il nord Italia e parte del centro costituivano il Regno d’Italia facevano parte del Sacro Romano Impero, ma per le ricorrenti lotte di successione, erano spesso abbandonati a sé stessi e l’unica autorità riconosciuta e riconoscibile era quella dei vescovi, che divennero capi religiosi e capi politici. Successivamente furono le famiglie dei nobili a prendere il governo delle città eleggendo uno o più Consoli, ma siccome erano frequenti le lotte per contendersi queste cariche, si pensò di chiamare un Podestà che veniva da fuori città. I contrasti con i Comuni vicini erano frequentissimi e si sentì quindi la necessità di nominare un Capitano del Popolo per guidare l’esercito, appoggiato dalle famiglie più influenti. Sparirono gli organi elettivi e questa carica divenne ereditaria: da quel momento ebbero inizio le Signorie.

Alla fine del ‘300, tramonta il teocentrismo che aveva caratterizzato tutto il Medio Evo e si afferma un nuovo Umanesimo: l’arte non ebbe più soltanto carattere religioso e il mecenatismo dei Signori fece sì che venissero incoraggiate tutte le arti: le città si arricchirono di tesori inestimabili e le residenze nobiliari sfoggiavano la potenza dei loro possessori tramite opere che ancora oggi ammiriamo.

Oltre alle Signorie più conosciute (Visconti, Sforza, Medici) nelle città più piccole si affermarono Signorie minori, tra queste la nostra docente ci ha illustrato la storia degli Scaligeri di Verona.

La città veneta divenne Comune nel 1136 con la nomina di 3 consoli, ma già 30 anni dopo venne chiamato il Podestà Ezzelino i cui discendenti si imposero come Signori della città di Verona. E’ nel 1181 che Arduino Della Scala ottiene il governo della città e la sua famiglia mantenne il potere per quasi due secoli. Tra gli Scaligeri il più conosciuto è Cangrande, grande Mecenate che abbellì la città con palazzi lussuosi e la fortificò con mura possenti merlate a coda di rondine come si usava nelle città ghibelline.

La Signoria degli Scaligeri terminò quando l’ultima discendente sposò Bernabò Visconti e la Marca veronese venne annessa al Ducato di Milano.

Dante fu ospite di Cangrande della Scala e a lui dedicò alcuni versi nel Canto XVII del Paradiso.

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CURE PALLIATIVE – Il dr. Giuseppe D’Amico ci ha proposto un approfondimento del tema su cui vertono le sue lezioni: le modalità di attivazione delle cure palliative.

Quando un malato non risponde più alle cure specifiche, bisogna valutare l’accesso alle cure palliative dopo aver preso in considerazione gli ultimi accertamenti clinici, le condizioni di vita del paziente, la sua autonomia, l’alimentazione e il numero dei ricoveri ospedalieri negli ultimi 6 mesi.

In Italia varie associazioni di medici hanno prodotto delle schede tendenti proprio a valutare la qualità della vita del paziente; tali schede possono essere compilate dal medico o dai familiari e vengono inviate all’ente erogatore delle cure palliative, il quale deve rispondere entro le 24 ore successive.

Si ha quindi un colloquio mirato a conoscere la situazione del paziente, della famiglia e le condizioni abitative (se consentono o meno la presenza di un care-giver). Il colloquio serve anche a spiegare chiaramente a cosa servono le cure palliative, che non possono avere come scopo la guarigione, ma mirano a controllare i sintomi della malattia; inoltre alla fine del colloquio si definisce anche dove potranno essere somministrate le cure: domicilio, Hospice o ambulatorio.

Erba non è una città per i giovani?

Quante volte sentiamo dire che i giovani d’oggi sono interessati solo al cellulare, che fanno fatica a stabilire relazioni sociali positive, che si disinteressano della vita reale che li circonda?

Forse anche questo è diventato un luogo comune o forse quanto detto sopra è vero per una parte dei nostri giovani; certamente non vale per tutti.

Un gruppo di giovani del nostro territorio da anni ha dato vita a un’ encomiabile associazione chiamata “LO SNODO” e si impegna in modo ammirevole, con costanza ed entusiasmo, per realizzare eventi e iniziative indirizzate ai coetanei.

Sarebbe logico aspettarsi che un’associazione di questo genere, che già ha fatto tanto per i giovani del territorio e che può fare ancora moltissimo, riscuotesse il plauso di tutti e in particolare dell’amministrazione comunale cittadina, invece (strano a dirsi) non è così: per l’evidente ostilità dell’amministrazione comunale infatti LO SNODO potrebbe essere sfrattato dai locali della stazione di Erba.

Se i cittadini erbesi accetteranno passivamente e con indifferenza l’eventuale allontanamento dei ragazzi dello SNODO, dimostreranno di non avere interesse per i propri figli e nipoti…

UTE: La stampamte 3D – Morlotti e quel suo dolcissimo paesaggio.

Il dr. Rizzi oggi ci ha illustrato una tecnologia che sa di futuro: la stampante 3D.

E’ una tecnologia per molti ancora sconosciuta, ma la cui scoperta risale alla fine degli anni 80. La stampante è in grado di produrre prototipi a basso costo, modelli di fusione (in oreficeria), attrezzature di produzione e viene utilizzata quando si devono produrre pochi pezzi dello stesso tipo.

E’ una tecnologia che fa risparmiare tempo ed è di facile utilizzo. Ne esistono diversi tipi.

La più piccola, di uso domestico, è grande come un PC e funziona grazie alla fusione di un filo di plastica (venduto a bobine) che la stampante spalma strato su strato secondo un modello che è stato programmato. Può costare circa 200 euro. Tutt’altro discorso è invece quello che riguarda le stampanti per le industrie che hanno prezzi molto più elevati e possono produrre protesi individualizzate (in ortopedia e ortodonzia) e addirittura cartilagini ,tessuti e organi umani (anche se per questi ultimi sono ancora in corso studi ed esperimenti). In edilizia stampanti di grandi dimensioni possono addirittura produrre case e palazzi; anche l’industria aerospaziale ricorre spesso a questa tecnologia per riprodurre parti da inserire nelle astronavi.

E’ certo una tecnologia che può avere sviluppi ora inimmaginabili e che può cambiare il mondo della produzione.

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MORLOTTI E QUEL SUO DOLCISSIMO PAESAGGIO – La prof. Beretta oggi ci ha parlato di un pittore che io non avevo mai sentito nominare, ma che, ho scoperto, è tra i più importanti pittori lombardi del secolo scorso.

Nato nel 1910 a Lecco, si iscrisse all’accademia di Firenze nel 1936, ma ne uscì dopo due anni, perché si sentiva estraneo alla tradizione toscana, così intellettuale e legata ai volumi geometrici; l’arte lombarda invece è da sempre molto legata alla realtà. Morlotti apprezza il realismo di Caravaggio e si sente vicino a Cézanne ea Courbet.

Lasciata l’Accademia partì per Parigi, dove si immerse nell’arte dei grandi pittori contemporanei e non. Due opere lo colpirono più di tutte: “Guernica” di Picasso e “Le bagnanti” di Cézanne. Nel primo di questi quadri scopre un nuovo modo di rappresentare la realtà, che è soprattutto una realtà emotiva anche se quasi surreale per la forma estetica; il secondo quadro, secondo quanto dice lo stesso Morlotti, è stato per lui come un pugno nello stomaco per l’uso delle forme e dei colori.

Fino a questo punto, però , il pittore lecchese non aveva ancora trovato un suo modo personale di esprimersi con la pittura e lo stesso successe anche al suo ritorno a Milano nel 1939. Qui però ebbe modo di incontrare e frequentare tutti gli intellettuali più in vista in quel periodo. Allo scoppio della guerra si trasferì a Mondonico, una piccola frazione di Olgiate Molgora, fatta di poche case immerse nel verde. Nel silenzio e nella quiete di quel luogo, Morlotti trovò l’ispirazione per la sua pittura e cominciò a dipingere i paesaggi che lo circondavano, caratterizzati da colline dolcie ricche di vegetazione. La sua pittura di quel periodo era istintiva, emotiva, ricca di colori.

A questo periodo felice seguì una parentesi parigina, assai meno “produttiva” Poi scoprì Imbersago e vi si trasferì e ritrovò la sua vena artistica, ma non si dedicò più ai paesaggi: il suo interesse si concentrò sui particolari della natura che aveva intorno, come a volerli penetrare; sono di questo periodo i “Paesaggi sull’Adda” dove arriva a un modo di dipingere che si può definire “informale”: non usa pennelli, ma spatole, non dipinge cose, ma macchie di colore. Dai suoi quadri traspare una grande partecipazione emotiva alla natura delle terre lombarde.

Sono grata alla professoressa Beretta per avermi fatto conoscere questo pittore così intimamente legato alla sua terra.

UTE: ‘400, ‘500, ‘600 nel territorio erbese – Tradizioni e folclore natalizio nel milanese e in Brianza.

Grazie alla disponibilità e alla generosità della prof.ssa Alberta Chiesa e del dr. Giorgio Mauri oggi all’UTE è stato possibile ovviare alla forzata assenza della dr.ssa Todaro a cui rivolgiamo i nostri più fervidi auguri.

La prof Chiesa ci ha intrattenuto su un periodo poco conosciuto della storia erbese, quello che va dal ‘400 al ‘600.

Due erano le famiglie più influenti nel nostro territorio: i Parravicini (già nel XII secolo proprietari dei castelli di Casiglio e Pomerio e i Carpani (di origine non nobile e provenienti da Ponte Lambro, erano divenuti tanto ricchi da poter comprare il borgo di Villincino dopo che era stato distrutto nel 1285).

Nell’età delle Signorie, l nostro territorio risentì fortemente delle lotte tra le famiglie dei Torriani e dei Visconti e questi ultimi che prima governarono direttamente la nostra zona, poi finirono col cederla ai Dal Verme.

Nel ‘400 e ‘500, a Erba e dintorni erano fiorenti molte attività: prima di tutto l’agricoltura, anche se poco redditizia; l’allevamento soprattutto di pecore e capre; c’erano due torchi e fornaci per la produzione di mattoni. Era diffuso il commercio della lana e si confezionavano abiti di lusso e tonache per i monaci di tutta la Lombardia. Nella città di Erba si tenevano ben tre mercati: a Incino, a Mevate e davanti alla chiesa di S. Maria degli Angeli. Sulle rive del Lambro sorgevano molti mulini per la macinazione dei cereali o per la lavorazione del ferro (mulini da maglio). Gli armaioli di Canzo ( famiglia Negroni detta anche Missaglia) poi erano celebri in tutta la Lombardia e rifornivano i Signori di Milano. C’erano anche scuole di diritto con borse di studio per studenti poveri, una scuola di notai, numerosi conventi e oratori, l’ospizio del castello di Pomerio (per accogliere pellegrini e malati) , una farmacia (erboristeria).

Purtroppo con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, il nostro territorio venne assegnato ad un vicerè spagnolo; per rimpolpare le casse del regno svuotate dalle lunghe guerre, furono imposte tasse pesantissime che a poco a poco soffocarono molte fiorenti attività economiche del territorio erbese; a questo si aggiunsero periodi di carestia e pestilenze ricorrenti che impoverirono tutta la Lombardia, ma a Erba e dintorni il loro impatto fu meno pesante che altrove.

Nel 1773, con la pace di Utrecht, la dominazione spagnola terminò con l’avvento degli Austriaci, i cui interventi sul territorio sono ancora visibili.

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TRADIZIONI NATALIZIE E FOLCLORE NEL TERRITORIO ERBESE – Il legame del territorio erbese con Milano ha radici antichissime e lo riscontriamo nella somiglianza dei dialetti e nell’appartenenza alla stessa diocesi e allo stesso rito ambrosiano.

A differenza del rito romano, nel rito ambrosiano l’Avvento prevede sei domeniche (e non quattro) e comincia quindi ai primi di novembre; anticamente tuttavia si cominciava a respirare aria di Natale soltanto dalla festività dell’8 dicembre. La benedizione delle case veniva fatta a ridosso delle festività ed era occasione per rimettere a lucido tutta la casa.

Una tradizione importante era quella del “cioc”: si cercava nei boschi un grosso ceppo che veniva ornato e messo nel camino la notte di Natale. La “regiura” lo colpiva tre volte col mestolo e ad ogni colpo esprimeva un desiderio, intanto il “regiur” lo speuzzava col vino. Il ceppo doveva durare fino all’Epifania , quando venivano raccolti e conservati i residui legnosi, che venivano bruciati durante i temporali estivi. In quelle 12 notti potevano accadere le cose più fantastiche: si diceva che nella notte di Natale gli animali nelle stalle parlassero tra di loro, ma guai a chi li avesse sentiti; le streghe volavano di notte e volevano trovare le case ben pulite.

Era una vera disgrazia poi nascere nella notte di Natale: non era bello cercare di distogliere l’attenzione dovuta al Bambino Gesù per attirarla su di sé.

Due lezioni interessanti che hanno riscosso grande gradimento da parte dei numerosissimi presenti.