UTE: Geografia dell’Africa – In Africa le origini della Terra e dell’umanità?

Oggi all’UTE si sono tenute le prime due lezioni dell’Anno Accademico. Entrambe avevano come tema l’Africa, il filo rosso attorno al quale verteranno molti degli argomenti che verranno trattati.

Come è logico, prima di tutto è giusto avere, sebbene a grandi linee, un’idea complessiva di questo continente così vicino e così poco conosciuto, per questo la dr.ssa Myriam Colombo ci ha illustrato il territorio, caratterizzato principalmente dai deserti (che occupano il 27% della superficie africana) e dalla foresta pluviale nella zona sub-sahariana. Pochi sono i rilievi montuosi e i fiumi importanti (Nilo – il fiume più lungo della terra – Congo, Niger); ci sono anche molti altri fiumi minori, che però non sono sufficienti a soddisfare la sete del continente africano (che è tre volte più grande dell’intera Europa). Da nord a sud, la lunghezza del territorio è di circa 8.000 Km. e questo fa sì che vi si possano incontrare climi molto diversi dal clima arido delle zone desertiche al clima equatoriale della foresta al clima tipicamente mediterraneo della zona costiera a nord.

La densità della popolazione è molto bassa, perché vaste zone del territorio africano non offrono condizioni favorevoli alla vita umana; il cambiamento climatico in atto provoca inoltre l’avanzamento del deserto e pertanto anche zone prima abitate vengono ora abbandonate dagli abitanti che si dirigono verso le città o migrano verso l’Europa.

Le enormi ricchezze del sottosuolo africano hanno prima attirato gli stati europei che lo hanno colonizzato (e depredato) e ora multinazionali e stati extraeuropei (Cina, Russia in primis) continuano a sfruttare le risorse del continente nero senza che ne derivino grandi vantaggi per le popolazioni locali.

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Don Ivano ci ha poi introdotto alla storia dell’Africa, materia che non compare nei nostri testi scolastici, in quanto per definizione la storia, secondo i nostri studiosi, comincia da quando gli eventi sono stati documentati con testimonianze scritte; in Africa invece è sempre prevalsa la tradizione orale. Dai reperti fossili rinvenuti si dà per certo ormai che i primi uomini siano comparsi sulla terra proprio in Africa e che da lì si siano poi sparsi su tutta la terra nel corso dei millenni.

Ora gli storici africani, basandosi su documenti non scritti stanno ricostruendo la storia precoloniale del continente. Riporto a questo punto la conclusione del manualetto che, come al solito, don Ivano ha distribuito ai presenti:

Sulla base di questi dati, che appaiono oggi consolidati nell’ambito scientifico, dobbiamo ritrascrivere la storia, o comunque integrarla con i nuovi apporti della ricerca e insieme dello studio dei dati acquisiti. Se finora l’Africa è stata considerata come “asservita”, e di fatto schiavizzata, nella visione che il mondo occidentale fa della storia umana, adesso è neces-sario ricreare le basi per una lettura più ampia e completa. Non si può non riconoscere che nel corso del cammino dell’umanità il nostro mondo europeo si è fatto strada nel continente africano, indubbiamente con la rapacità di chi vuol occupare e sottrarre energie locali, e insieme, però, apportando tutte quelle tecniche e quelle scoperte che consentono pure lo sviluppo; ma va altresì segnalato che fin dalle origini c’è stato il cammino inverso per cui l’Homo erectus, divenuto sapiens, è uscito dall’Africa per raggiungere gli altri continenti, che già erano alla “deriva”, dopo essere stati un unico blocco. Abbiamo allora da fare ancora molto per una visione più completa e più giusta, tale da consentire una lettura più ampia della storia, ed offrire una prospettiva sul futuro che rimanga in linea con quanto la storia insegna, anche in mezzo a tanti errori. La conoscenza dell’Africa, soprattutto nella sua storia, ancora prima dell’arrivo degli Europei con i loro condizionamenti è quantomai da operare con larghezza di vedute, lasciandoci anche guidare dagli storici locali, che hanno strumenti più adatti per questa operazione.

E’ stato per me un pomeriggio interessante e spero che sia stato così anche per i numerosissimi presenti in Sala Isacchi (almeno un centinaio, visto che è stato necessario reperire sedie aggiuntive ai posti a sedere). Un inizio davvero soddisfacente!!

Film: Holdovers- Lezioni di vita

Da alcuni anni a Erba si ripete la bella iniziativa dei “Pomeriggi al cinema” (cliccando sul link troverete notizie sull’iniziativa: da chi è organizzata, da quanto tempo e qual è il programma di questo autunno).

Ieri è stato proiettato il film “Holdovers – Lezioni di vita”. E’ ambientato nel 1970, in un collegio del Middle West. E’ tempo di vacanze natalizie; gli alunni tornano alle loro case, ma solo Angus, all’ultimo momento, viene avvisato dalla madre che non può tornare a casa: lei sta partendo per la luna di miele col suo nuovo compagno. Insieme a lui restano anche il professore di storia, il più odiato dagli studenti e dai colleghi, e la cuoca che ha appena perso un figlio nella guerra del Vietnam.

Per tutte queste tre persone il Natale si annuncia come il più triste della loro vita, ma la convivenza forzata consente loro di conoscersi al di là di come sono apparsi l’un l’altro fino a quel momento: la cuoca rivela tutta la sua carica umana e la sua sensibilità di mamma; il professore confessa tutte le sue fragilità e le sue insicurezze che nasconde dietro la sua aria dispotica e fredda; Angus non è solo quel ragazzaccio antipatico e ribelle che si fa espellere da tutte le scuole, ma è un ragazzo sensibile, segnato da una profonda sofferenza. Sarà proprio Angus a dire durante il pranzo di Natale, che non si è mai sentito in famiglia come con quei suoi due compagni di solitudine.

E’ un film molto piacevole, ben interpretato , dove si alternano momenti divertenti a momenti di intensa commozione.

Se ne avete occasione, andate a vederlo.

Che scuola!!

Sento spesso denigrare la scuola italiana, che, secondo il parere di molti, sarebbe peggiorata in questi ultimi anni per la difficoltà di integrare bambini stranieri che non parlano ancora la nostra lingua.

Certamente non sarà facile per gli insegnanti adeguarsi alle diverse esigenze di una scolaresca spesso molto disomogenea, tuttavia credo che l’impostazione filosofica della nostra scuola ritenga l’insegnamento un servizio da offrire ai giovani perché possano inserirsi al meglio nella società.

Non dappertutto è così: c’è anche chi, privilegiando le scuole private ad alto costo, mette al centro delle sue attività non i bisogni dei ragazzi, ma la necessità della scuola di ottenere un “rating” tale da aumentare il proprio prestigio e attirare così iscritti e finanziamenti.

E allora ecco programmazioni assurde con carichi di lavoro per i ragazzi al di fuori di ogni logica, sia per livello di proposte, sia per quantità di richieste… così non è più scuola …

Poesia: La grande speranza (A. Merini)

È così diseguale la mia vita

da quello che vorrei sapere.

Eppure al di là di ogni immondizia

e sutura, c’è la grande speranza

che il tempo redima i folli

e l’amore spazzi via ogni cosa

e lasci inaspettatamente viva

una rima baciata.

Alda Merini

“Che il tempo redima i folli e che l’amore spazzi via ogni cosa”: ecco la grande speranza di Alda Merini. Ed è la mia stessa speranza.

In un momento così denso di inquietudini e di orrori, perdere la speranza sarebbe il più grave degli errori, perchè smetteremmo di fare anche quel poco di bene che le occasioni della vita ci possono consentire.

Si può ancora sperare, come ci dice Papa Francesco?

Da un po’ di tempo non passa giorno senza che venga annunciata la notizia di una strage familiare o di fatti di sangue talmente orribili da far accapponare la pelle.

A volte, per consolarmi, mi dico che forse queste cose sono sempre accadute, ma un tempo avevano meno risonanza perché l’ informazione era meno capillare e meno rapida… ma questo certo non basta ad acquietare le mie ansie. Cosa può spingere una madre a uccidere il proprio figlio, un padre a uccidere moglie e figli, un figlio a uccidere la propria famiglia?

E cosa dire delle guerre in corso? Ogni giorno bombardamenti e attacchi terroristici provocano centinaia di vittime tra civili inermi e ogni giorno si fa più concreto il pericolo di una guerra su vasta scala con conseguenze non immaginabili, data la potenza delle armi che potrebbero essere utilizzate…

Viene la tentazione di perdere la speranza, che è indispensabile per affrontare la vita di tutti i giorni e per superare la paura del domani.

Forse per questo Papa Francesco che ha certamente una visione del mondo da un osservatorio privilegiato, avendo nunzi apostolici in ogni parte del mondo, ha pensato bene di indicare , per il Giubileo, 2025, il tema della speranza.

E io spero che questa esortazione a sperare possa conquistare i cuori di tanta gente, perché il mondo possa diventare un luogo migliore.

Si era alla fine dell’estate …

Si era alla fine dell’estate. Bisognava raccogliere il mais, seminato in primavera in un campo al “Punt di gaj” (ponte dei galli – non so se scrivere Galli o galli). I terreni erano di proprietà di una famiglia numerosa; ricordo i nomi di qualcuno dei fratelli: Ada, Albertino, Cesarina (che aveva perso una gamba sotto i bombardamenti) . Non so quale tipo di contratto fosse stato stipulato (certamente solo a voce) per consentire ai miei di coltivare uno dei loro campi.

Dopo la semina primaverile seguivo spesso mia madre e mio padre che andavano a sarchiare le piantine durante la loro crescita. A un certo punto, non saprei dire quando, bisognava fare la “séma”, cioè si tagliava la cima della pianta( forse per consentirle di far ingrossare di più le pannocchie?)

Poi le foglie della pianta cominciavano a seccare, il loro ciuffo diventava scuro e quando i chicchi erano ben maturi si decideva il momento del raccolto.

Quell’anno era tornato a casa in licenza mio fratello maggiore Vincenzo che stava facendo il servizio militare e anche lui venne coinvolto nella raccolta del mais. Ho in mente l’immagine di lui che , rosso di fatica , di caldo e grondante sudore, arrivava al carro che sostava sul sentiero e lì scaricava la cassetta piena di pannocchie che portava sulle spalle. Io avevo forse 6/7 anni e collaboravo andando a prendere l’acqua alla fattoria e distribuendola a chi stava lavorando. Quando non ero occupata in questa incombenza andavo spesso nei filari vicini a raccogliere qualche grappolo d’uva ormai quasi matura e me la gustavo anche e soprattutto se era ancora un po’ asprigna. Anche meli e peri godevano del privilegio di qualche mia visita.

Intanto il carro si riempiva e a sera il granoturco veniva scaricato sull’aia . Non ricordo come in quell’occasione si sia effettuata la spannocchiatura, ma ricordo bene una sera quando tutti i vicini si sono radunati su un’aia della contrada per questa operazione.

Al centro le pannocchie formavano una piccola montagna, attorno erano seduti su cassette gli spannocchiatori alla luce flebile di un paio di lampade elettriche. C’era un’aria di festa; i grandi lavoravano e chiacchieravano tra loro e ogni tanto si sentiva lo scoppio di qualche risata . Anche noi bambini ci sentivamo coinvolti in questa atmosfera e partecipavamo per un po’ alla separazione delle pannocchie dalle brattee che le ricoprivano, ma poi ci allontanavamo un po’ dall’aia illuminata e giocavamo a nascondino nel buio.


Per ricompensa gli spannocchiatori ricevevano un bicchier di vino o qualche biscotto preparato dalla “rasdora” e alla fine qualcuno tirava fuori una fisarmonica ( mi pare di ricordare un nome: Luciano) e l’aia diventava una balera all’aperto.

Ricordo che mentre tornavamo a casa, quella musica allegra accompagnava i nostri passi, mentre diventava sempre più flebile…

Un nuovo trend?

Sono in atto cambiamenti epocali, che rendono questo momento storico inquieto e spesso inquietante; tante oscure nubi sembrano voler occupare l’orizzonte: guerre, carestie, tecnologia disumanizzante, cambiamento climatico, disuguaglianze sociali e diritti negati. Cosa resta da fare a noi comuni mortali? Lamentarsi e piangere non ha mai prodotto effetti positivi; forse vale la pena cercare i segnali “buoni” che pure esistono, e che ogni tanto riescono ad affiorare, e contribuire a metterli in evidenza per alimentare la speranza, una virtù indispensabile per continuare ad accettare la fatica di vivere.

In questi giorni mi ha fatto piacere vedere come i giovani campioni del tennis, Sinner, Musetti, Alcaraz, Draper, Zverev, abbiano inteso dare di sé un’immagine positiva, ribadendo l’importanza dell’amicizia, della correttezza, della lealtà, della gentilezza. Ho visto anche molti personaggi dello spettacolo anche di grande fama, mettersi al servizio di iniziative umanitarie e solidali: forse essere maleducati e trasgressivi a tutti i costi non è più così di moda.

Questo mi sembra un fatto che può incoraggiare i nostri ragazzi a ignorare i modelli e i messaggi negativi che possono frastrnarli e confonderli.

Se l’essere persone autenticamente perbene (e non moralisticamente ipocrite) diventa un “trend” vincente, si può ancora sperare…