Poesia: Novembre (V. Cardarelli)

C’è un giorno che tutte le formiche escono dal bosco
a fare il fascio per l’invernata.
Sopraggiungono, di lì a poco,
le lunghe piogge autunnali,
simili a un gran pianto dirotto, interminabile.

È un pianto che sgorga a fiumi, a torrenti,
fa crescere il lago, solca le strade, rovina i ponti
e dilaga per i campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di vellutina.

Quando più nessuno se l’aspetta,
un sole freddoloso, più prezioso dell’oro vecchio,
torna poi, ogni mattina,
a trovare le foglie gialle d’acacia
che piovono ancora sui davanzali,
le foglie secche dei platani
che il vento trascina lungo i viali.

Cardarelli in questa poesia ha avuto, a mio avviso, quasi solamente un intento descrittivo: incentra la sua attenzione sulle piogge torrenziali e devastanti e sulla caduta delle foglie, ma non sento in questa composizione affiorare l’anima del poeta, che si limita a dipingere oggettivamente gli effetti dell’autunno sulle cose che lo circondano.

Poesia: Alone (E.A. Poe)

From childhood’s hour I have not been
As others were—I have not seen
As others saw—I could not bring
My passions from a common spring—
From the same source I have not taken
My sorrow—I could not awaken
My heart to joy at the same tone—
And all I lov’d—I lov’d alone—
Then—in my childhood—in the dawn
Of a most stormy life—was drawn
From ev’ry depth of good and ill
The mystery which binds me still—
From the torrent, or the fountain—
From the red cliff of the mountain—
From the sun that ’round me roll’d
In its autumn tint of gold—
From the lightning in the sky
As it pass’d me flying by—
From the thunder, and the storm—
And the cloud that took the form
(When the rest of Heaven was blue)
Of a demon in my view.

Riporto qui questa poesia di Poe in lingua inglese, perché se ne possa apprezzare la musicalità, che inevitabilmente si perde con la traduzione (che potete trovare QUI).

Poe aveva vent’anni quando scrisse questa poesia e nella sua breve vita aveva sperimentato molte sofferenze, molte perdite: l’abbandono del padre, la morte della madre (lui aveva appena due anni), l’adozione e la morte della madre adottiva. Non è quindi difficile capire il senso di questa poesia: lui non si è mai sentito come gli altri, non ha mai guardato al mondo con lo stesso sguardo degli altri e ha sempre vissuto in solitudine i dolori e le ferite che la vita gli ha inferto, così come ha vissuto in solitudine i suoi amori e le sue passioni. Anche nelle nuvole bianche di un cielo azzurro, dove gli altri non vedevano che un’immagine di Paradiso, lui non vedeva che demoni e mostri.

Ricorda, Israele …

SE QUESTO E’ UN UOMO.

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Dedico questa poesia di Primo Levi ai Palestinesi di Gaza … Forse l’autore non avrebbe mai potuto immaginare che, in un futuro non molto lontano dai giorni in cui ha scritto la sua poesia, i governanti del suo popolo avrebbero assunto il ruolo di persecutori senza pietà.

Ora a Gaza ci sono uomini e donne che non hanno più dove stare e ormai da due anni sono costretti a percorrere e ripercorrere, da nord a sud e viceversa, le strade ingombre di macerie della loro terra, in cui non trovano più né cibo né acqua né riparo dalle intemperie mentre vedono i loro figli morire di fame o sotto i bombardamenti.

Perché gli Israeliani non ricordano quando erano loro le vittime della barbarie? Ricorda Israele…. e ti siano di monito gli ultimi versi della poesia….

Poesia: Fine dell’estate (Herman Hesse)


Monotona, sommessa e lamentosa,
scorre tiepida la sera con la sua pioggia,
piangendo tra sé come un bambino stanco
va incontro alla vicina mezzanotte.

L’estate sazia ormai delle sue feste,
tiene la corona nelle mani inaridite
e la butta via – è sfiorita – ,
si china inquieta e vuol farla finita.

Anche il nostro amore era una corona,
un divampare di calde feste estive;
ora l’ultimo ballo lentamente si spegne,
la pioggia cade, gli ospiti sono in fuga.

Ma prima che lo sfarzo appassito
e l’ardore spento ci faccian vergognare,
prendiamo congedo dal nostro amore
in questa notte cupa.

In questa poesia piena di dignitosa malinconia, Herman Hesse costruisce un lungo paragone tra un’estate che sta finendo con le piogge monotone e lamentose che preannunciano l’autunno e la fine di un amore. Herman Hesse ha avuto una vita travagliata, segnata da difficili storie d’amore e da una tormentata ricerca del senso da dare alla sua vita.

Così come l’estate lascia dietro di sé le giornate assolate e festose così anche la sua storia d’amore termina in un ultimo ballo, mentre fuori piove e gli ospiti lasciano la festa.

E’ una fine probabilmente voluta da entrambi, che non sanno più ritrovare l’ardore e la felicità di un tempo ormai lontano, ma è importante lasciarsi con dignità e rispetto per sé stessi .

Poesia: Temporale in città (T. Hardy)

(Una reminiscenza 1893)

Indossava un abito di “terra-cotta”,
E siamo rimasti, a causa della tempesta battente,
nella nicchia asciutta della carrozza,
anche se il cavallo si era fermato; sì, immobile
Ci sedemmo, comodi e al caldo.

Poi l’acquazzone cessò, con mio grande dolore,
e il vetro che prima aveva coperto le nostre forme
si alzò e lei uscì di corsa verso la sua porta:
L’avrei baciata se la pioggia
fosse durata un minuto di più.

Non so, ma credo che questa poesia abbia ispirato Armando Gill nella composizione della sua canzone “Come pioveva”.

Cliccando sul link sottostante, la si può riascoltare nell’interpretazione di Achille Togliani, un cantante che, quelli della mia età, ricordano bene.

https://www.google.com/search?q=come+pioveva+canzone&rlz=1C1ONGR_itIT931IT931&oq=come+pioveva+canzone&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUyCQgAEEUYORiABDIHCAEQABiABDIICAIQABgWGB4yCAgDEAAYFhgeMggIBBAAGBYYHjIICAUQABgWGB4yCAgGEAAYFhgeMggIBxAAGBYYHjIKCAgQABiABBiiBDIHCAkQABjvBdIBCDU5ODlqMGo3qAIIsAIB8QUP9qM8Cm8ozfEFD_ajPApvKM0&sourceid=chrome&ie=UTF-8#fpstate=ive&vld=cid:47d8ba36,vid:fdd2ISUtp8o,st:0

Poesia: La ninna nanna della guerra – Trilussa

La citazione di Ceccobeppe e Gujermone pone chiaramente questa poesia di Trilussa in un tempo ormai lontano, ma, fatti i dovuti aggiornamenti, essa dice ancora bene perchè si fanno le guerre, chi ci guadagna e chi ci perde sempre, anche quando sta dalla parte dei vincitori.

E’ poi molto efficace l’ironia con cui vengono citati i popoli “civili” , le cause delle guerre e i responsabili dei massacri che poi tornano ad essere amici e fanno bei discorsi sulla pace e sul lavoro, senza sentire rimorsi per i tanti giovani che hanno mandato al macello. Come è doloroso, infine, l’invito di questa mamma che allatta il suo piccolo e lo invita a dormire fino a quando l’orrore della guerra non sarà finito.

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

Poesia: Maggiolata (G. Carducci)

Maggio risveglia i nidi,
maggio risveglia i cuori;
porta le ortiche e i fiori,
i serpi e l’usignol.

Schiamazzano i fanciulli
in terra, e in ciel gli augelli;
le donne han nei capelli
rose, ne gli occhi il sol.

Fra colli, prati e monti,
di fior tutto è una trama:
canta, germoglia ed ama
l’acqua, la terra, il ciel.

Ha il ritmo cantante di una filastrocca questa poesia di Carducci che ci parla della bellezza del mese di maggio, che è da sempre sinonimo di trionfo della natura e stagione degli amori per ogni essere vivente.

Poesia: Aprile (Renzo Pezzani)

Così aprile in un giorno
m’ha dipinto il giardino:
di bianca calce tutto il muro intorno
e tutto il cielo del più bel turchino.
Di verde non ha fatto economia.
E’ così verde questa terricciuola
che sembra l’orto della poesia.
Che chiasso di colori in ogni aiuola
e quanti fiori, quanta fantasia
di blu, di rossi, di celesti e viola!
C’è un fior per tutti in questo mio giardino!
Fanne un mazzetto da portare a scuola!
Così dipinse April questa mia breve
terra intingendo il pennello nel cuore
fin che bastò il colore.

Simpatica questa poesia di Pezzani! Aprile è un pittore che elargisce a piene mani i suoi colori “intingendo il pennello nel cuore”: è una bella immagine che sintetizza immagini visive e sentimenti.