Sòta ai pòm

C’ è una campagna, ogni anno, per la valorizzazione di luoghi di interesse culturale ed artistico e chiunque può segnalare un monumento, un edificio, una località che ritiene degna di attenzione.

Io ho un “luogo del cuore” , ma non so se esista ancora e non ha certo valore artistico, ma solo affettivo: è un filare di meli, non di quelli di adesso che crescono ad altezza d’ uomo per facilitare la raccolta dei frutti, ma quei meli alti almeno cinque metri da terra, che davano delle mele piccole, ma saporite, che ora non si vedono più sui banchi dell’ ortofrutta, nè nei mercati, nè nei supermercati.

Vicino a casa mia, oltre un cancello enorme sempre aperto (solo ora mi chiedo il perchè di quel cancello,
visto che non veniva mai chiuso), si apriva un sentiero sterrato lungo qualche centinaio di metri, fiancheggiato da una parte da campi coltivati a grano o a foraggio e dall’ altra da questo lungo filare di meli, sotto cui noi bambini della contrada ci incontravamo per giocare.

C’ era sempre erba fresca su cui fare le capriole e ombra ristoratrice nei giorni più caldi.
Sul sentiero si poteva giocare alla “settimana” o a spingere qualche cerchione di bicicletta,O a un gioco di abilità con cinque semi di pesca. Gli alberi fornivano ottimi ripari per giocare a nascondino e c’ era sempre qualche pianta da cui prendere qualche pera o prugna o un grappolo d’ uva secondo le stagioni, col tacito consenso dei proprietari.
Molto spesso coglievamo anche frutti acerbi e al solo pensarci mi pare di sentire ancora quel sapore aspro che ti faceva venire l’ acquolina in bocca.
A volte, quando il grano era ormai maturo, coglievamo una spiga, la sbriciolavamo tra le mani, con un soffio facevamo volare via la pula e poi sgranocchiavamo i chicchi, che ben presto diventavano una pallottola piuttosto gommosa, ma dal buon sapore.

Quando mia madre non ci trovava, sapeva di dover chiamare a voce un po’ più alta perché certamente dovevamo essere “sòta ai pòm” (=sotto i meli).

Meglio insieme.

Nei locali che fino a qualche anno fa ospitavano la scuola materna di Arcellasco, chiusa quando le suore che prima la gestivano se ne sono andate, comincerà a funzionare in questo mese di Aprile un centro di aiuto per le famiglie che si trovano a dover affrontare le difficoltà di convivere con il disagio psichico.

Lo Stato, con la legge Basaglia, ha giustamente chiuso i manicomi, veri lager in cui la dignità umana veniva calpestata e vilipesa, ma non ha poi messo a disposizione dei malati quei centri di supporto necessari per impedire che tutto il peso venisse scaricato sulle famiglie.

Ora la Caritas Ambrosiana in collaborazione con la Caritas del decanato di Erba e con il Centro di Ascolto di Erba, viene a colmare un vuoto.
Negli spazi messi a disposizione si potrà offrire alle persone con disagio psichico incontri , colloqui e momenti di condivisione per stabilire nuovi rapporti di relazione interpersonale, dando nello stesso tempo un po’ di sollievo alle famiglie. Vi saranno operatori sanitari e volontari con preparazione specifica.

L’ iniziativa , che va sotto il nome di “MEGLIO INSIEME” è lodevolissima, anche se mi pare un limite il fatto che funzioni solo per un pomeriggio alla settimana (martedì).; ma si può sperare che col tempo e dopo aver valutato le prime esperienze possa essere ampliata.