Una festa in paese.

Ero forse in IV elementare e la scuola fu invitata a partecipare a una sfilata in costume che intendeva far rivivere i tempi in cui il nostro paesino era dominato dagli antichi signori.

Tutto il paese e tutti i circoli culturali e associazioni varie partecipavano alla festa.
Anche per me fu prenotato il noleggio di un vestito da dama rinascimentale.
Quando arrivò il giorno della sfilata c’ era molta gente per le strade, perchè ognuno aveva qualcuno di famiglia impegnato nella rievocazione storica….
Io indossavo il mio abitino lungo di velluto color nocciola con profili verdi e in testa avevo un copricapo che mi faceva sembrare buffa   (anche ora non trovo mai nè un cappello, nè un berretto o altro che non mi faccia sembrare mooooolto “buffa”).
La mia compagna di banco invece aveva due grandi trecce bionde che  sbucavano da sotto il cappello e le incorniciavano il viso: il solo fatto che fosse bionda me la faceva sembrare bellissima e poi il suo vestito era di un bel viola intenso con profili dorati.
Mi sentivo un po’ scialba e  a disagio.
Il corteo attraversò le vie del paese, sostò sotto il balcone del municipio a cui si affacciò la coppia che impersonava i “signori conti” per un breve discorso alla folla plaudente e poi ci si avviò verso il teatro, dove tutti i personaggi sfilarono sotto gli occhi di una giuria che doveva premiare il vestito più bello (cosa che a mio avviso non aveva molto senso, essendo tutti  abiti noleggiati).
Ricordo l’ imbarazzo con cui, ad un cenno della mia maestra, salii su una passerella improvvisata.

La sottile malinconia che mi aveva preso fin dall’ inizio, man mano che venivano chiamati gli altri bambini per la premiazione, si era accentuata sempre più e quando fui chiamata per ultima ebbi la conferma delle mie sensazioni spiacevoli: ero proprio la più brutta!!!
Il ricordo, dopo tanto tempo, si è purificato da quel senso di frustrazione e mi piace riportarlo alla mente, ma quel giorno, che doveva essere una festa,  non mi portò molta allegria.

Il lago in fiamme.

Questa foto, condivisa su facebook da Giovanna Selvaggio , ritrae il tramonto che ieri si è visto sul lago di Pusiano.

Ero in auto da più di due ore ormai e arrivata a Pusiano mi è comparsa d’ improvviso un’immagine piena di luce: il sole basso sull’ orizzonte incendiava la superficie liscia del lago che la rifletteva come un enorme specchio e in controluce si vedeva la sagoma nera di una barchetta , che scivolava via silenziosa.  Ai lati le sagome dei paesini e delle colline velate da una nebbiolina leggera…..Uno spettacolo bellissimo! Un grazie a Giovanna che ha fermato questa magia!

tramonto sul lago di Pusiano.

Ben arrivato , don Vianney!

La chiesa era piena di ragazzi, come sempre la domenica mattina, ma erano tutti più attenti più silenziosi.

Erano incuriositi dall’ arrivo del nuovo parroco, che si è insediato ieri sera con una breve cerimonia alla quale ha presenziato anche il vescovo.

Da molto tempo si sentiva il bisogno di qualcuno che desse una mano al vecchio parroco, la cui fatica si faceva sempre più palese, ma non ci sono molti sacerdoti di questi tempi.  Ma alla fine è arrivato: viene dal Congo : ha una bella voce chiara e parla un italiano perfetto, dev’ essere in Italia da molto tempo e si dice abbia numerose lauree conseguite nel nostro paese.

Quando il vecchio parroco ha invitato i presenti a dare un segno di benvenuto a don Jean Marie Vianney, è scoppiato un lungo e sentito applauso che ha riempito la volta della chiesa; il sacerdote ha ringraziato e ha chiesto alla comunità di aiutarlo a conoscere questa realtà nuova per lui, per poter camminare insieme seguendo Gesù e la Chiesa.

Tanti auguri a don Vianney e ai Rolesi! Sono certa che questa nomina li aiuterà ad avere sempre una più larga prospettiva sul mondo, anche da questo nascosto angolo della Bassa.

 

Signorinella.

E’ in bagno davanti allo specchio e io sulla porta la osservo mentre con l’aiuto della mamma cerca di nascondere con un po’ di cipria quell’accenno di acne che le fiorisce qua e là sulla fronte e sul mento.

E’ una delle prime uscite serali per Elisa (una sua amica festeggia il suo compleanno) ed è tutta agitata. Sembra che nulla possa andare bene: non certamente i capelli o il maglione , le scarpe nuove poi…!!!! L’ unica cosa di cui sembra essere sicura sono quegli orrendi jeans pieni di strappi ……

Intanto e’ arrivata l’ amica che è venuta a prenderla. Le due ragazzine si confidano l’un l’altra tutti i loro dubbi, ma si rassicurano a vicenda. Un’ ultima occhiata davanti allo specchio e poi se ne vanno con l’ auto della madre dell’amichetta……

Mio genero guarda la sua “bambina ” uscire  e gli si legge negli occhi l’ orgoglio perchè è proprio carina la nostra Elisa, ma poi  mi si rivolge e mi dice : – Ti ricordi quando era piccola così… sembra ieri….- e nella voce si sente un po’  di trepidazione….

Già il tempo è volato ed Elisa si sta facendo grande …

 

Un pensiero per Luca.

L’ avevo visto giovanissimo recitare in TV al fianco del padre, quando ancora la RAI si permetteva di trasmettere spettacoli di qualità. Quando nel programma del Piccolo Teatro (quattro spettacoli 66 euro – prezzo ridotto per anziani) ho visto comparire anche uno spettacolo della compagnia di Luca De Filippo, mi son detta: – Questo non lo voglio perdere!- e ho convinto l’ amica che mi fa compagnia in queste occasioni a prenotare per la domenica 15 novembre.

Al momento dell’ acquisto del biglietto però ci hanno informato: un’ indisposizione costringe Luca de Filippo a farsi sostituire. Sembrava che tutto rientrasse nelle normali vicissitudini di inizio della  stagione fredda, da come la notizia veniva diffusa.

Purtroppo invece ieri è giunta notizia che Luca De Filippo è morto dopo una breve malattia.

Credo sia un grave lutto per il teatro italiano e a me rimane il rimpianto di non aver potuto vedere sul palcoscenico almeno uno degli ultimi discendenti di quella  famiglia di cui Eduardo resta il simbolo,  conosciuto sia in Italia che nel mondo.

Riposi in pace, signor Luca ! La conforti il pensiero che chi la sta sostituendo sulle scene lo fa in modo egregio.

Questione di feeling.

Ci eravamo rintracciate tramite mia figlia , che era stata da lei riconosciuta a uno sportello bancario. Ci eravamo telefonate con la promessa di ritrovarci appena possibile, poi si sa come vanno queste cose : un po’ ci si dimentica, un po’ mancano le occasioni….. .  Questa volta però ce l’ ho fatta e ci siamo riincontrate qui, sotto la torre che mostra la sua veste nuova dopo la ristrutturazione seguita al terremoto.

A parte il colore dei capelli, qualche ruga e qualche chilo in più, ci siamo ritrovate a ridere come ai tempi della scuola, quando insieme, al mattino presto, prendevamo il treno a carbone coi sedili di legno per andare a Modena.

Spero di averle fatto venire la voglia di avvicinarsi alle nuove tecnologie, così potremmo restare in contatto molto più facilmente tramite le innumerevoli possibilità della rete.

Mi ha fatto un gran piacere ritrovarla serena accanto a suo marito a raccontare le sue esperienze di nonna e di mamma; abbiamo preso insieme un caffè riallacciando  discorsi che non sembravano affatto  interrotti  da oltre quarant’anni : era come se ci fossimo salutate qualche giorno fa….il feeling  non è cambiato….

La vendemmia.

Quando le giornate si facevano più corte, al mattino vedevi, aprendo la finestra, una leggera nebbiolina alzarsi dal prato antistante, mentre ti arrivava alle narici il gradevole odore dell’uva ormai matura.
Ricordo che era  il momento  più bello dell’ anno, perchè il caldo soffocante era ormai passato e nei campi si stava bene, l’aria era tiepida e tutto intorno le foglie degli alberi cominciavano ad assumere il tipico aspetto autunnale, quando sembra che rilascino  la luce del sole che hanno assorbito durante la stagione passata.
Allora era il momento della vendemmia.
Ogni vendemmiatore portava la sua roncola e il suo paniere e si andava nei filari dove l’ uva era più matura.
Cogliere i grappoli, riempire i canestri e svuotarli nelle cassette, che venivano poi caricate sui carri ,  era  faticoso, ma ci si poteva permettere il lusso  di scambiare qualche chiacchiera sui fatti del paese o di lanciare una battuta di spirito.
Le api si affollavano attorno ai grappoli più maturi e ricordo che anch’ io potevo fare buone scorpacciate scegliendo i grappoli più belli , che mi lasciavano le dita appiccicose, o andando a cogliere qualche pera ancora sull’albero.o qualche noce appena caduta .

Ricordo un personaggio in particolare: l’Albertino, il “putt” (cioè lo scapolo), della fattoria. Era un po’ balbuziente, ma quando cantava sembrava un vero tenore  e spesso era lui che allietava le ore di lavoro, mentre gli altri assecondavano il suo canto facendo la “seconda voce” o canticchiando piano per non rovinare quell’ armonia .

 

Come agnello in mezzo ai lupi….

Mi piace molto questo articolo di Repubblica.it sul viaggio in Africa di Papa Bergoglio .

Va a dire , a riaffermare ancora una volta, che Dio non può essere strumentalizzato a fini politici da nessuno e che le ingiustizie fomentano violenza e terrore. Lui va “come agnello in mezzo ai lupi” senza paura per i possibili attentati, perchè quello che deve annunciare è troppo urgente , troppo importante e non c’è tempo da perdere.
La chiesa cattolica ha tante magagne, alcune palesi altre meno, ma ha questa grande prerogativa rispetto alle altre chiese e religioni: ha dei capi carismatici, che possono parlare al mondo con autorevolezza……non è così per i protestanti , divisi in tante “parrocchiette”; non è così per i musulmani che non hanno una gerarchia  cui affidare l’ adeguamento del Corano alle esigenze del mondo che cambia e sono costretti a rifarsi sempre alle origini, all’ interpretazione letterale che spesso uccide lo spirito delle Scritture.
Seguirò questo viaggio con grande interesse e speranza.

Storie di famiglia: Eva, Fatima e nonno Vincenzo

Dai racconti di mia sorella Ilva:

Da sempre, in ogni comunità, quando anche  la medicina era poco più che stregoneria, c’ era un guaritore o una guaritrice cui la gente ricorreva  sperando nel beneficio che una sua parola, un gesto, una pozione potessero porre fine a malanni e sofferenze.

Nel mio paese , nei primi decenni del secolo scorso, c’ era  Eva che  tutti dicevano avesse un “dono” speciale e che in molte circostanze si era guadagnata la riconoscenza dei suoi compaesani.

Nel 1917 però , in piena guerra, Eva (detta “Lèva) si trovò impotente a fronteggiare qualcosa che era troppo più forte dei suoi poteri: sua figlia Fatima, una bambina di pochi anni, era in pericolo di vita per una difterite ( il terribile crup) , rischiava di morire soffocata. Doveva essere portata all’ ospedale di Carpi, l’ unico della zona (distante 15 Km.). Chi poteva accompagnarla?

Mio nonno paterno, aveva allora 52 anni. Era stato nell’ arma dei carabinieri ed era tra i pochi che, nei dintorni, disponesse di un calesse e di un cavallo. In quei giorni però lo aveva colpito una brutta forma di polmonite e aveva la febbre alta.

Probabilmente in quel momento c’ erano pochi altri uomini in paese e lui si sentì in dovere di rispondere a quella richiesta di aiuto e senza curarsi di ciò che sarebbe potuto accadergli, caricò Eva e la sua bimba sul calesse e sfidò il freddo di quell’ inverno infausto.

Fatima potè così essere curata e si salvò, nonno Vincenzo invece morì pochi giorni dopo.

 

 

 

Nevicate.

Quando ero piccola io,  quasi ogni anno  le nevicate erano abbondanti e seppellivano la pianura sotto un pesante mantello bianco che addolciva i contorni delle cose e diffondeva nell’ aria una luce diversa, anche di notte.
Ricordo come mi piaceva stare in casa vicino alla stufa o vicino al camino e guardare fuori dalla finestra la neve che scendeva giù fitta, mentre il papà entrando col suo tabarro imbiancato faceva entrare una zaffata d’ aria fredda che ti faceva apprezzare ancor di più il tepore della casa e intanto diceva:
– Se continua così ne verrà una gamba…..-
Oppure: – Col freddo che fa questa ce la porteremo fino alla primavera….
Intanto io preparavo delle briciole di pane da lanciare sulla neve per gli uccellini affamatissimi, ma si sapeva che molti preparavano invece delle vere e proprie trappole per catturarli e mangiarseli con la polenta, ma allora non ci si scandalizzava molto per questo.
C’ era poi chi aveva avuto modo in autunno di fare la sapa (il mosto cotto) e con la neve ora si preparava una granita speciale o almeno così dicevano (io non l’ ho mai assaggiata).
Era bello fin che la neve cadeva, ma poi cominciavano i disagi: la spalatura, l’ acqua di neve che ti bagnava le scarpe e penetrava a gelarti i piedi e non c’ erano mezzi diversi che il camminare a piedi, mentre sprofondavi lasciando le tue impronte nella neve che crocchiava sotto di te.