Martiri dell’emancipazione…

Un altro terribile femminicidio con l’aggravante della circostanza che la donna era incinta di sette mesi…

E’ difficile per certi uomini, abituati da sempre a pensarsi padroni della donna che hanno accanto, accettare la sua autodeterminazione, il suo diritto a decidere della propria vita e le donne che intendono farlo valere vanno incontro a molte difficoltà sia morali che economiche, ma il delitto non dovrebbe mai essere ipotizzato da nessuno.

L’orrore che suscita il ripetersi di questi crimini dovrebbe indurre la nostra società a dichiarare le vittime “martiri” della emancipazione femminile. Dovremmo istituire una giornata mondiale delle vittime di femminicidio e in quel giorno fare memoria di tutte le donne che sono cadute sotto la mano omicida di quelli che avrebbero dovuto amarle e custodirle.

 

Vittime collaterali.

Ieri sera in seconda serata su Rai1, è andata in onda la terza puntata di “Vittime collaterali” condotta da Emma D’Aquino.

Cliccando sul link qui sopra avrete modo di avere informazioni esaurienti sul tema della trasmissione, tema che mi ha sempre molto interessato e coinvolto: il dramma delle giovani donne cresciute in Italia in famiglie di cultura diversa.

Sono ragazze che vivono in una specie di terra di nessuno: sono andate a scuola in Italia, hanno assorbito la nostra cultura, il nostro modo di vivere, ma in famiglia questa cultura viene osteggiata. Quelle che riescono a soffocare il loro desiderio di indipendenza e libertà, riescono a sopravvivere  costringendosi a sopportare una vita di subordinazione e di umiliazione. Quelle che rifiutano questa prospettiva  vanno incontro a lotte terribili all’interno della famiglia e della comunità e, nei casi più tragici (e la cronaca ne ha riportati parecchi), si arriva anche al “delitto d’onore”.

Per prevenire eventi delittuosi si dovrebbe puntare sull’informazione e sull’educazione, affidando questo compito alla scuola per le nuove generazioni e ai capi delle comunità straniere in Italia per gli adulti. Dovrebbero essere gli Imam ad assumersi la responsabilità di spiegare ai membri delle loro comunità le nostre leggi, il nostro diritto di famiglia, aggiornandoli anche su come si evolve la società nei loro paesi di origine: da sempre gli emigranti conservano nelle loro menti un quadro fossilizzato del modo di vivere del loro paese, mentre in realtà là tutto, come è giusto che sia, si evolve e si adegua alle innovazioni culturali, economiche, sociali.

Bisogna affrontare in fretta questo problema perché anche in questo momento tante donne e tante ragazze vivono situazioni terribili, con sofferenze che provocano ferite profonde nelle menti e nei cuori.

 

Brividi.

Mi si torce lo stomaco mentre ci penso, mi vengono i brividi, ma mi rendo conto di essere d’accordo con la Meloni!!!

L’utero in affitto, o, per dirlo meglio, la “maternità surrogata” mi fa orrore!!!

Far nascere un bambino nel ventre di una donna che accetta questa situazione dietro un compenso, togliere il neonato alla donna di cui ha sentito per nove mesi il battito del cuore, le sensazioni, positive e negative, e la  voce per essere dato a un’altra “mamma” (ma potrebbe essere un “mammo”) del tutto estranea mi pare una cosa talmente contro natura da far accapponare la pelle.

Spero vivamente che tutte le donne, indipendentemente dalle loro idee politiche, difendano la meraviglia della maternità, così come la natura ha predisposto in miliardi di anni di evoluzione.

Poesia per il 1° maggio: Lavoro di donna (Maya Angelou)

Ho dei bambini cui badare
vestiti da rattoppare
pavimenti da lavare
cibo da comprare
poi, il pollo da friggere
il bambino da asciugare
un reggimento da sfamare
il giardino da curare
ho camicie da stirare
i bimbetti da vestire
la canna da tagliare
e questa baracca da ripulire
dare un’occhiata agli ammalati
e raccogliere cotone.
Risplendi su di me, sole
bagnami, pioggia
posatevi dolcemente, gocce di rugiada
e rinfrescate ancora questa fronte.
Tempesta, spazzami via di qui
con una raffica di vento
lasciami fluttuare nel cielo
affinché possa riposare.
Cadete morbidi, fiocchi di neve
copritemi di bianco
freddi baci ghiacciati
lasciatemi riposare questa notte
Sole, pioggia, curva del cielo
montagne, oceani, foglie e pietre
bagliori di stelle, barlume di luna:
siete tutto quello che io posso dire mio.

Questa poesia mi fa ricordare la vita delle nostre mamme e nonne, quando la povertà era una compagna sgradita, ma inseparabile e la fatica un’oppressione quotidiana. Donne che non conoscevano le parole “ferie” o “vacanze” e che, nonostante il loro lavoro, non hanno mai avuto la benché minima indipendenza economica. Quanta gratitudine dobbiamo a loro!!!

 

 

 

 

Centro Italiano Femminile: una storia gloriosa.

E’ tempo di tesseramento per il CIF (Centro Italiano Femminile).

Molti si chiederanno :- Cos’è il CIF? – e forse assoceranno questo nome a un vecchio detersivo.

Infatti è un’associazione gloriosa, ma in declino come una principessa decaduta e squattrinata. Rovistando nei suoi archivi si scopre tuttavia quanto sia stato importante il suo apporto   nel campo dell’assistenza ai bambini, quanto abbia fatto per promuovere la partecipazione delle donne alla vita politica, rendendole più consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.

La sua nascita risale ai tempi difficili della fine della Seconda Guerra Mondiale, quando  tutto era da ricostruire e le donne potevano finalmente esercitare il loro diritto di voto.  Ecco qualche nota storica rintracciata in internet su quel periodo :

Il Centro Italiano Femminile (CIF), fondato ufficialmente nel 1945 dalle donne cattoliche e presieduto da Maria Federici,  deputata alla Costituente, fu un’organizzazione collaterale dell’Azione Cattolica e, quindi, di appoggio alla DC. La data ufficiale della costituzione del CIF risale al dicembre 1945, momento dell’approvazione formale di Pio XII, ma già dall’autunno dell’anno precedente a Roma le donne cattoliche avevano dato vita al movimento e il 16 marzo del 1945 su Azione Femminile (organo del Movimento Femminile DC) era comparso l’appello alle adesioni.
Chiari i compiti del nuovo movimento: coordinare e concentrare le iniziative benefiche, le opere sociali, l’attività assistenziale ed educativa delle associazioni femminili. Il CIF inoltre, in vista delle nuove responsabilità civili e dei nuovi compiti sociali ai quali le donne erano chiamate, si proponeva di promuovere “la soluzione dei problemi della vita femminile e sociale secondo lo spirito e la dottrina cristiana”, nonché “di preparare la donna mediante lo studio, la propaganda e l’azione, all’esercizio dei diritti civili e politici e all’adempimento dei doveri” conseguenti.

Ora naturalmente le donne  sono molto più emancipate, rispetto agli anni ’40 del secolo scorso, ma il CIF continua ad operare  soprattutto nelle scuole superiori proponendo corsi di avviamento al volontariato e di supporto psicologico. Noi del CIF di Erba ci gloriamo di aver dato un contributo determinante nella fondazione dell’Università della Terza Età e di continuare a supportarla con impegno appassionato.

Per tutto questo io continuo a iscrivermi al CIF ed estendo il mio invito a fare altrettanto alle amiche che, bontà loro, leggono questa pagina.

La fettina di carota.

Ieri sera in seconda serata su Rai1, tra le varie testimonianze sui campi di sterminio, ho risentito un0 straziante racconto di Liliana Segre.

Le era venuto un ascesso sotto un’ascella e, nell’infermeria del campo, una donna glielo aveva asportato  con le forbici, dicendole di non svenire perchè non l’avrebbe aiutata. Tornò nella baracca in preda a una sofferenza fisica atroce  e a una terribile angoscia: aveva tredici anni, si sentiva piccola, sola e abbandonata a una sorte disumana. Una donna, prigioniera come lei, vedendola così prostrata, prese un fazzoletto lercio e ne trasse una fettina di carota, una preziosa fettina che poteva fare la differenza tra la vita e la morte e gliela offrì. La piccola Liliana si sentì confortata dal sapore dolce di quel dono e disse “Grazie”.

Il commento della Segre: da tanto tempo non avevo detto “grazie!”

L’orrore del lager aveva tolto tutto a quella prigioniera: i suoi affetti, i suoi averi, i suoi progetti di vita, ma non era riuscito a cancellare il suo  senso di umanità.

UTE: la donna nella Russia medioevale (Sintesi di A. D’Albis) – Il conflitto russo- ucraino (Sintesi di Diana)

La professoressa Chiesa introduce la sua lezione sulla condizione della donna nella Russia medioevale con un inquadramento storico della nazione Russia.

Ci dice che il termine “Rus” e di origine finnica e che significa “uomo venuto d’oltremare”. La Rus di Kiev, infatti, fu fondata da popolazioni scandinave. Fu soprattutto la famiglia Rurikidi che iniziò la sua dinastia nell’842 su un territorio, che fu successivamente chiamato “Rus’ di Kiev”, perché comprendeva una parte dell’attuale Ucraina e aveva come capitale Kiev. Successivamente, sotto il regno di Vladimiro I si ebbe l’unificazione dello Stato. Vladimiro salì al trono nell’988 e subito dopo si convertì al Cristianesimo ortodosso. La sua conversione fu dovuta alla necessità di mantenere buoni rapporti con l’impero bizantino ortodosso e il matrimonio con Anna, sorella dell’imperatore di quell’impero.

Vladimiro obbligò tutta la popolazione a convertirsi e quando morì, nel 1055, era già venerato come Santo, prima di essere canonizzato. Ora è venerato sia dalla chiesa ortodossa che da quella cattolica. Dopo Vladimiro I salì al trono suo figlio Jaroslav. Costui, a differenza del padre che era analfabeta, ebbe la possibilità di studiare e contribuì a sviluppare culturalmente la nazione, oltre a capire l’importanza di instaurare alleanze con gli stati europei attraverso un’accurata politica matrimoniale. Alla sua morte la “Rus’ di Kiev” cominciò a declinare e si alternarono periodi di instabilità ad altri un po’ più stabili, fino a giungere alla invasione dei tataro -mongoli che portò morte e distruzione in tutto il paese. 

Dopo questa introduzione, la professoressa ci descrive la condizione della donna in Russia partendo dalla preistoria. In questo periodo la popolazione era divisa in Clan. La donna, poiché madre, e quindi simbolo di fertilità, aveva un’alta considerazione sociale. Nonostante i matrimoni fossero stipulati per instaurare alleanze e non per amore, c’era parità tra i due sessi e la donna svolgeva un ruolo anche politico all’interno del suo villaggio. Inoltre, se anziana, diventava un punto di riferimento importante.

C’erano anche le donne “guaritrici”, che conoscevano gli effetti sulla salute delle erbe medicinali, ma che, oltre a curare il corpo, si interessavano anche del benessere dello spirito con preghiere e altre pratiche religiose. Esse curavano anche gli animali. Una nota negativa riguardava le vedove che, quando moriva il marito, venivano bruciate con lui.

In tutto il territorio della “Rus di Kiev” e per parecchi secoli, la condizione della donna era stata molto favorevole. Nella storia del Medioevo russo, dal X secolo al XIV secolo, l’attività sociale della donna invase l’attività maschile. Le donne potevano avere proprietà e gestirle, potevano aggregarsi alle attività dei mariti e, alla loro morte, divenirne titolari. Poi ci furono donne ambasciatrici o che governavano indipendentemente i loro principati.

Poiché il matrimonio era un contratto, esse erano libere anche sessualmente, quindi potevano avere amanti come i loro mariti. Alcune nobili donne capirono che per esercitare il potere bisognava essere istruiti e fondarono scuole per nobildonne. 

Con l’avvento del Cristianesimo, queste prerogative a favore delle donne andarono a poco a poco perse. Il matrimonio , da contratto stipulato tra i due sposi, divenne un affare della Chiesa. A poco a poco, nei vertici ecclesiastici, cominciò a serpeggiare una certa avversione verso la donna (MISOGINIA), che portò lentamente la donna a essere relegata al solo ruolo di moglie e di madre e a perdere tutti i suoi diritti. Con Ivan IV il Terribile, primo zar di Russia, le donne persero definitivamente tutti i diritti.

Sotto il suo regno venne scritto e divulgato il “Domostroj”, una specie di galateo che dava rigide regole di comportamento per dare alla società un modello patriarcale in cui la donna non aveva nessun diritto, era relegata in casa, sottomessa al marito e vittima di violenza.Solo nel XVI secolo, con il regno di Pietro il grande, le donne riconquistano valore. Infatti, nel 1724, Pietro il Grande associò Caterina, sua moglie, al trono, che diventò Zarina.Dopo Caterina, per 67 anni, si susseguirono sul trono della Russia altre Zarine (Anna; Elisabetta; Caterina II) Queste donne ribaltarono il ruolo della donna in Russia.

Durante l’Illuminismo vennero fondate parecchie scuole per donne. Con l’ascesa al trono di Alessandro II, si ebbe una regressione. Le donne russe riuscirono a raggiungere l’apice dell’istruzione con l’iscrizione all’Università, solo nel XIX secolo.

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Prima di affrontare il tema specifico della lezione, il prof. Cossi ritiene di dover fare un breve excursus sulla storia della Russia, richiamando, a grandi linee, la storia della Russia, partendo però da Pietro il Grande, lo zar che per primo cercò di dare un’identità al popolo russo. Infatti, dopo il suo viaggio in Europa (di cui abbiamo già parlato in precedenti sintesi) egli introdusse numerose riforme tendenti a limitare potere della Chiesa ortodossa, per questo arrivò a costringere gli uomini a tagliare  barba e baffi, cosa prima proibita per motivi religiosi. Dopo Pietro il Grande, come già detto, seguirono 67 anni in cui il potere fu detenuto da zarine; l’ultima e più importante di esse fu Caterina II, che spodestò il marito e forse lo fece uccidere; ebbe però il merito di accogliere le idee illuministe tranne quella della necessità di una Costituzione. Suo figlio, governò ben poco, ma cercò di cancellare tutte le riforme introdotte dalla madre, che odiava profondamente.

Nel 1801 salì al trono Alessandro I, che avrebbe voluto introdurre riforme per ammodernare lo Stato, ma temendo la reazione dei nobili non ne fece nulla, anzi instaurò un regime poliziesco.  Anche Nicola I, salito  al trono nel 1825, tentò di abolire la servitù della gleba, ma incontrò una forte opposizione dei proprietari terrieri. Anche in Russia arrivò lo spirito rivoluzionario che nel 1848 scosse tutte le capitali europee, ma ogni tentativo di protesta fu represso. Proibì gli studi umanistici e fece suo il motto: Ortodossia – Autocrazia – Popolo. Lo Zar doveva essere riverito e temuto come rappresentante di Dio sulla terra e come interprete della volontà del popolo. Contrappone all’Europa corrotta la “purezza” della Russia.

Qualche tempo dopo,  anche Dostoevskij viaggiando per l’Europa fu molto deluso nel constatare come gli Europei fossero senza ideali e rincorressero solo il denaro.

 

Parlare di guerra per parlare di pace…

Ieri sera al teatro Excelsior, Nello Scavo e Lucia Capuzzi, due giornalisti di “AVVENIRE”, ci hanno raccontato le loro esperienze nei paesi più tribolati del nostro mondo.

Nello Scavo ha raccontato, quasi con pudore, la crudeltà e le atrocità della guerra in Ucraina, dove si è recato di persona, e ci ha fatto veramente sentire l’assurdità di una guerra a cui ormai ci stiamo un po’ abituando e che stiamo vivendo a volte come un video-gioco davanti alla TV. Parlando poi di migrazione ha ben spiegato come dietro al traffico di esseri umani , si nascondano interessi molto ampi e complessi e come sia insensato negare i diritti essenziali a tanta parte di umanità: alla fine negare i diritti porta solo a creare ingiustizie che prima o poi presentano il conto. Scavo ha parlato anche della guerra dei Balcani, la sua prima missione (come free-lance, per dirla con un eufemismo di moda oggi, o come “spiantato, disoccupato della comunicazione” come ha detto lo stesso giornalista). E a questo proposito ha testimoniato come la pace in quelle zone, tra Kosovo e Serbia, sia fragile… La guerra ha  lasciato dietro di sé uno strascico di odio e rancore tale, che nemmeno trent’anni di “pace” (ma forse è più giusto dire armistizio lungo trent’anni) sono riusciti a far dimenticare e che si tramanda alle nuove generazioni come una tragica, feroce eredità.

Lucia Capuzzi, innamorata del Sud America, ma recentemente inviata in Afghanistan, ci ha parlato della lotta delle donne afghane, private ormai di ogni diritto, nel silenzio più totale dei media occidentali. La missione di portare la democrazia a suon di bombe è fallita, tanto vale lasciare quel disgraziato paese al suo destino e alla sua povertà disperante. Nelle strade del sud del paese si vedono solo uomini: le donne sono relegate in casa e non hanno diritto a uscire nemmeno accompagnate; a Kabul girano per le strade come fantasmi, avvolte nei burqa, ma non possono andare al parco e nemmeno possono accedere alle università. In Iran poi è in atto una repressione feroce contro le donne e contro tutti coloro che le sostengono. (Bene ha fatto Mattarella ieri a parlare con chiarezza all’ambasciatore iraniano). E cosa dire delle popolazioni indigene dell’Amazzonia che stanno lottando per la loro sopravvivenza contro la deforestazione portata avanti con insensata pervicacia da Bolsonaro?

Entrambi i due coraggiosi giornalisti, dopo aver raccontato tanti orrori, hanno anche raccontato episodi che autorizzano a nutrire la speranza: in mezzo anche alle situazioni più dolorose, ci sono sempre uomini e donne che continuano a lottare contro le violenze e a piantare semi di speranza: è questo che deve darci lo stimolo a essere anche noi, nel nostro piccolo, costruttori di pace.

P.S.: Grandi applausi hanno accompagnato gli interventi dei due coraggiosi  giornalisti, ma il più sentito, almeno da me, è stato quello indirizzato a Lucia Capuzzi quando Nello Scavo ci ha detto che lei, dopo essere stata fermata e imprigionata dai talebani, una volta liberata non è fuggita dal paese, ma è rimasta fino ad ottenere una lettera di scuse dal governatore locale. Dobbiamo essere molto grati a giornalisti dello stampo dei nostri due relatori, ci permettono di conoscere realtà lontane consentendoci di valutarle e di prendere posizione , schierandoci dalla parte della giustizia.

Sempre in attesa…

Come è difficile essere madre! Vorresti proteggere i tuoi figli da ogni dispiacere, da ogni avversità e ti ritrovi impotente con le mani inutilmente protese mentre li vedi in preda all’affanno.

Poi la vita se li porta con sé, lontano, e tu puoi solo pregare perché siano felici, perché la loro strada sia quella giusta, che non si smarriscano … e cerchi sempre di tenere accesa la “luce” di casa perché sappiano che in ogni evenienza qualcuno li sta aspettando.

Poesia per le donne iraniane.

La poetessa Ella Grimaldi ha scritto questa poesia per le donne iraniane che lottano per cambiare la società in cui vivono e per avere riconosciuti i diritti che spettano ad ogni essere umano per il solo fatto di essere nato.

Nel fuoco che brucia le prigioni di stoffa
arde il coraggio delle donne dell’Iran.
Occhi nuovi salutano il sole
smarriti nell’orrore di una lunga notte.
Scoppiano sogni di libertà,
soffiano ancora i venti dell’amore
volano in alto i veli della rassegnazione
e mentre tagliano i capelli,
cantano la forza della sorellanza.
Nel grembo delle donne nasce la speranza
si nutre di eroismo, si immola, si colora,
e grida di dolore arrivano fino a Dio che oggi piange insieme a loro.
Ell@.