Nel giardino dell’Eden.

Che il racconto della Genesi sul momento della ribellione di Adamo ed Eva sia un bellissimo mito ricco di simboli che ne favorivano la comprensione alle persone semplici, è un fatto assodato e spesso mi è capitato di tornare su questo argomento, mai però sono stata soddisfatta delle mie argomentazioni.

Ora, leggendo “Charles De Foucauld – La spiritualità di Nazaret” di José Luis Vasquez Borau,  ho trovato questo brano, poche righe, che mi hanno conquistato.  Le riporto qui di seguito:

“Con questo racconto simbolico-immaginario, costruito con elementi drammatizzati, antropomorfici, folcloristici e perfino mitici, l’autore vuole trasmettere il seguente messaggio: all’inizio sussisteva una situazione di armonia con Dio, che non era altro che la coscienza retta, simbolizzata poeticamente dal giardino dell’Eden e dal suo ambiente meraviglioso; la rottura di questa pace , fu la conseguenza di una scelta contraria ai dettami della coscienza, simbolizzata dal serpente e dall’albero della conoscenza della felicità e dell’infelicità, che portò poi alla ribellione”

Mi piace molto la metafora che identifica la meraviglia del paradiso terrestre con la coscienza retta, l’armonia della natura con l’armonia della pace interiore, che credo sia il bene più prezioso da perseguire nella nostra esistenza.

L’uomo che amava il deserto.

Sto leggendo un libro che parla della vita e della spiritualità di Charles De Foucauld, proclamato santo da Papa Francesco. Ecco in breve la sua vita.

Nato a Strasburgo il 15 settembre 1858, rimasto orfano andò a vivere presso il nonno materno e durante il liceo abbandonò la pratica religiosa considerandosi ateo. Nel 1876 entrò nell’accademia militare e nella scuola di cavalleria, ma fu espulso per indisciplina aggravata da cattiva condotta, dopo aver sperperato l’eredità del nonno. Nell’ottobre 1886 entrò nella chiesa di S. Agostino a Parigi e grazie all’aiuto di un sacerdote di grande spiritualità cominciò un cammino di conversione. Dopo un pellegrinaggio in Terrasanta, entrò prima nella trappa di Notre-Dame des Neiges, nell’Ardèche, poi in quella di Akbè, in Siria; dopo 7 anni si recò a Nazareth lavorando come domestico in un monastero di Clarisse. Vi trascorse alcuni anni, ma consigliato dal suo direttore spirituale si preparò al sacerdozio e fu ordinato il 9 giugno 1901. Si recò quindi a Beni Abbès, nel Sahara algerino, dove costruì un romitaggio e si dedicò all’accoglienza dei pellegrini, collaborando al riscatto degli schiavi. Si stabilì poi definitivamente nel villaggio di Tamanrasset, facendo amicizia coi Tuareg e imparandone la lingua al punto che compilerà un dizionario tuareg-francese. Tra il 1909 e il 1913 compì alcuni viaggi in Francia nella speranza di coinvolgere dei laici nell’opera di evangelizzazione secondo il modello delle prime comunità cristiane organizzandoli in una Unione dei fratelli e sorelle del Sacro Cuore di Gesù. Ma il 1° dicembre 1916 una banda di predoni, aiutati da un uomo che fratel Charles aveva beneficato, prese in ostaggio l’eremita per saccheggiargli la casa. Purtroppo, il giovane incaricato di sorvegliarlo, all’arrivo di due cammellieri francesi si spaventò e sparò alla tempia di Charles uccidendolo sul colpo. Il suo sogno di fondatore verrà realizzato pochi anni dopo da René Voillaume, dando vita alla congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù. Charles de Foucauld è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 13 dicembre 2005. Mentre è stato proclamato Santo da papa Francesco il 15 Maggio 2022

Charles si era costruito da sé un piccolo eremo e conduceva un’esistenza poverissima, tanto che rischiò di morire di denutrizione e fu curato dai tuareg. Penso a quanto dovevano essere disperati e miserabili quei predoni che hanno assalito e saccheggiato la sua casa …

Letture: la vita bugiarda degli adulti.

E’ un romanzo di Elena Ferrante pubblicato nel 2019. E’ la storia scritta in prima persona di Giannina (Giovanna), una ragazzina di 15/16 anni che sta scoprendo se stessa e che ha tutti gli sbalzi d’umore e le contraddizioni tipiche della sua età. La sua situazione è però aggravata dal contesto familiare che lei riteneva perfetto e che invece scopre essere pieno di ipocrisie. Il padre, che era sempre stato il suo eroe, ha da decenni un ‘amante che è  Costanza, la migliore amica della moglie; questa a sua volta ha forse una storia col marito di Costanza. Ci sono poi i rancori antichi con una parte della famiglia che abita in un quartiere popolare di Napoli, mentre la famiglia di Giannina vive in una tranquilla zona residenziale e riprendere i contatti con l’odiatissima zia paterna fa parte del suo modo di ribellarsi alle meschinità che viene scoprendo.

Quando Giannina avrà il suo primo rapporto sessuale nel modo più squallido e degradante, sentirà di essere  entrata a far parte della “vita bugiarda degli adulti”.

E’ un romanzo di piacevolissima lettura, come tutti quelli della Ferrante, ma lascia l’amaro in bocca…Noi adulti spesso non ci rendiamo conto dell’importanza della coerenza nei nostri comportamenti: spesso sappiamo parlare bene, proclamiamo con calore la bontà di alcuni principi morali e comportamentali, che contraddiciamo più o meno palesemente nella nostra vita di tutti i giorni e quando i nostri figli scoprono la nostra vera identità ne restano delusi e sconcertati al punto di perdere ogni entusiasmo per la vita. Ho notato anche un uso della punteggiatura piuttosto soggettivo a tratti

Letture: Gli insospettabili (S. Savioli)

E’ un giallo, una storia di investigazione, ma con un tratto originale: i collaboratori nelle indagini sono animali e piante con cui la protagonista, per uno strano caso, riesce a parlare.

La prosa è piacevole e densa di ironia, ma il “caso” su cui indagare non è la parte preponderante del racconto, che invece si sofferma di più sulle vicende personali e familiari dell’ investigatrice.

Forse perché preferisco sempre le storie verosimili, questo libro mi ha intrattenuto piacevolmente, ma non mi ha entusiasmato….

Letture: Millenovecentottantaquattro.

Non mi era mai capitato di leggerlo prima d’ora, ma ho capito perché è giustamente tra i libri più famosi del secolo scorso.

Credo che faccia molto pensare, faccia nascere interrogativi anche sulla nostra realtà odierna, in cui sembrano verificarsi tanti fenomeni profetizzati da Orwell.

Il Big Brother, che tutto vede e tutto controlla, non si manifesta al giorno d’oggi tramite uno schermo televisivo che ti spia (come accade nei più beceri reality odierni), ma siamo comunque sempre monitorati attraverso l’uso della tecnologia, sia che telefoniamo, che facciamo la spesa, che usiamo il bancomat o che consultiamo i siti commerciali o di informazione. In troppi sanno troppo di noi tutti.

Nella realtà ipotizzata da Orwell, chi detiene il potere ha una grande preoccupazione: eliminare il maggior numero di parole, inventare un nuovo linguaggio sempre più povero perché eliminando le parole si toglie alla gente la capacità di pensare. E cosa accade oggi? I sociologi affermano che il nostro linguaggio si impoverisce sempre di più, influenzati come siamo da mezzi di comunicazione di massa preoccupati solo di fare soldi e non di promuovere il livello culturale degli utenti.

Un altro assillo del Big Brother orwelliano è quello di cambiare la storia, riscrivere il passato, perché non resti il ricordo di tempi in cui c’era la libertà; ai giorni nostri c’è chi cerca di mistificare i fatti del passato per tentare di far apparire giusto ciò che giusto non può essere.

E cosa dire poi dell’informazione? Nell’Oceania, in cui è ambientato il romanzo, c’è un ministero apposito per manipolare le informazioni e addomesticarle secondo quanto può essere più conveniente per il regime imperante. E oggi? La tecnologia moderna è in grado di inventare notizie e farle sembrare credibili, di creare fotografie che sembrano vere e invece sono create al computer: spesso non sappiamo se credere o meno alle notizie da cui siamo bombardati e che ci siamo abituati a chiamare “fake news”.

Il protagonista del romanzo è tra i pochi che ricorda il tempo precedente la rivoluzione; riesce a comprendere come la realtà intera viene distorta dal sistema di governo e cerca di ribellarsi mettendosi in contatto con quelli che gli appaiono “cospiratori”, ma anche questi si riveleranno dei mistificatori il cui unico fine è individuare i potenziali “ribelli” e neutralizzarli con ogni mezzo.

Forse se avessi letto questo romanzo 70 anni fa, quando è stato pubblicato, lo avrei giudicato come un  originale prodotto di una fantasia prodigiosa, ma  oggi  è una lettura inquietante e spesso anche poco allettante, proprio perché appare in tutta la sua dimensione “profetica” e  suscita disagio nel farti riflettere sui pericoli cui siamo esposti anche nella realtà attuale.

Letture: Il console onorario (Graham Green)

Il giovane dr. Plarr (cittadino inglese) esercita la sua professione in una cittadina argentina al confine col Paraguay, dove ci sono soltanto altri due connazionali un insegnante di lingua inglese e il console onorario Charley Fortnum, che. ormai anziano, si è sposato con una ragazza conosciuta nel bordello locale.

A un certo punto, Fortnum viene scambiato per il console inglese e viene rapito da un gruppo di guerriglieri di cui fa parte uno spretato , amico d’infanzia del dr. Plarr. Questi viene coinvolto nella vicenda per curare il prigioniero e viene trattenuto anche lui. In cambio del rilascio del console i guerriglieri chiedono la liberazione di alcuni prigionieri politici, ma poiché il console rapito non riveste alcuna importanza per nessun governo, visto che la sua carica è del tutto ininfluente, rapitori e prigionieri passano alcuni giorni nascosti nella foresta ascoltando la radio, ma nessuno parla di loro, nessuno rivendica la liberazione dei prigionieri. Ma ecco che quando meno se lo aspettano, la capanna in cui sono rinchiusi, viene circondata dai militari.  A questo punto i rapitori sanno di non avere più speranze e chiedono all’ex-prete di celebrare una messa e al termine il dr. Plarr si offre di trattare col colonnello che comanda i militari, ma viene ucciso. Ne segue un’incursione in cui tutti restano uccisi tranne il console onorario che potrà tornare da sua moglie che aspetta un bambino al quale verrà dato il nome del dottore, il suo vero padre.

Il romanzo è stato scritto negli anni in cui si parlava molto di “teologia della liberazione” seguita da un certo numero di sacerdoti sudamericani che non si rassegnavano a stare a guardare il loro popolo oppresso da dittature sanguinarie. Rivas, il prete del romanzo è uno di questi: lui si considera ancora molto legato alla Chiesa perché ritiene di stare dalla parte giusta, coi più poveri, ma si dice disposto anche a uccidere se il governo non cede alle richieste dei ribelli. Alla fine però non ucciderà nessuno e assolverà dai loro peccati tutti i suoi compagni prima dell’incursione dei soldati: nonostante tutto si sente ancora sacerdote (sacerdos in aeternum). Il vecchio Fortnum, alcolizzato da sempre, buono a nulla da una vita, troverà nell’amore per la sua giovane moglie un motivo di riscatto e proprio per questo amore accetterà di amare anche il figlio che lei porta in grembo, nonostante abbia saputo che è frutto di una relazione adulterina col dottore.

Posso dire che questo romanzo mi ha sì interessato, ma non entusiasmato.

Letture: “Ma il cielo non risponde.

“Ma il cielo non risponde” è un romanzo di A.J. Cronin che ho trovato nella piccola biblioteca della “Sala Argento”, il locale in cui noi, donne “diversamente giovani”, ci ritroviamo ogni lunedì pomeriggio per stare in compagnia o, se necessario, per fare qualche lavoretto per la parrocchia o per i malati.

Il romanzo racconta di un’amicizia tra due bambini, uno, lo stesso Cronin che vive con la mamma in povertà, e il suo amico Desmonde Fitzgerald, benestante, bello, intelligente, dalla voce d’angelo.

Frequentano la stessa scuola e spesso la mamma di Desmond affida alla mamma di Cronin dei lavoretti e cerca di aiutarla in tanti modi. Una volta cresciuti i due ragazzi scelgono strade diverse: Cronin vuole diventare uno scrittore, Desmonde sceglie di diventare sacerdote e si trasferisce in un seminario in Spagna; da questo momento la storia viene raccontata attraverso le lettere che Desmonde scrive all’amico di sempre.  Una volta ricevuta l’ordinazione, il giovane sacerdote viene inviato in una piccola parrocchia irlandese, dove per la sua bontà e per la sua voce meravigliosa conquista tutti i parrocchiani …. purtroppo conquista anche una ragazzina ribelle che in modo subdolo lo seduce rimanendo incinta. Il giovane sente il dovere di occuparsi di lei e del suo bambino, perciò abbandona l’abito talare e la sposa, ma presto questo matrimonio si rivela un vero disastro: la giovane è viziata e non si adatta alla vita piena di sacrifici che Desmonde può offrirle, perciò poco dopo la nascita della bambina se ne va con un altro, lasciando la figlia presso la zia che aveva accudito anche lei.

Desmonde perde la fede e si trova nella disperazione più nera: si sente un uomo fallito e vorrebbe por fine ai suoi giorni, ma il suo amico Cronin gli fa incontrare un agente di spettacolo che, a Hollywood, lo ingaggia come cantante. Il successo è enorme e col successo arrivano anche i soldi: Desmonde può ricompensare tutti quelli che lo avevano aiutato nel momento del bisogno, ma ritrova la sua serenità solo quando  i vecchi amici lo aiutano a riprendere il suo cammino interrotto e, guidato dalla  fede ritrovata, va come insegnante in terra di missione.

In questo romanzo Cronin punta il dito sul celibato imposto ai sacerdoti cattolici  e, visto il dibattito in atto nella Chiesa tedesca, il tema è incredibilmente attuale.

Letture: Violeta.

violetaVioleta era nata, in una città del Cile, durante l’epidemia della “spagnola” e morirà durante la pandemia da COVID.

Era l’unica figlia femmina dopo cinque figli maschi e pertanto era stata viziatissima da tutti fino a farne una piccola tiranna. Esplodeva in crisi terribili ogni volta che le veniva opposto il minimo rifiuto, per questo venne assunta dalla famiglia una baby-sitter di origine irlandese, che a poco a poco ne smussò le angolosità. Il padre aveva assicurato un certo benessere alla famiglia, ma con la crisi del ’29 si trovò completamente rovinato e si suicidò.

La famiglia, costretta a lasciare la propria casa,  si trasferì nell’estremo sud del Paese, ospite di amici. La zona era abitata solo da poche anime e lì Violeta si applicò all’insegnamento nelle piccole comunità locali.

Divenuta adulta sposò, quasi come fosse evento inevitabile, un veterinario di origine tedesca, ma dopo poco tempo i due divorziarono perchè Violeta si era innamorata di un avventuriero tanto affascinante quanto inaffidabile. I due ebbero due figli: un maschio costretto alla latitanza durante la dittatura di Pinochet e una figlia geniale e ribelle che muore, debilitata dalla droga, mentre partorisce  Camilo, il nipotino che Violeta crescerà con dedizione e amore.

Col tempo Violeta, prima tutta presa dal lavoro e dalle sue tempestose relazioni, trova una profonda saggezza che la porta a impegnare il suo patrimonio per difendere i diritti delle donne.

Isabel Allende racconta questa storia sotto forma di lettera: Violeta, giunta alla fine della sua vita, racconta a Camilo, il suo nipote prima turbolento e poi diventato missionario in Africa, la storia della sua famiglia.

Ho letto con piacere questo romanzo, che fa ripercorrere la storia dell’ultimo secolo mettendo a fuoco avvenimenti che hanno segnato la storia del Cile e del mondo.