Poesia: Farò della mia anima…

Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l’eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.

Kahlil Gibran

Bellissima poesia che sa creare immagini di una dolcezza e di una profondità uniche.

A proposito di Petrarca……

Movesi il vecchierel……..

Movesi il vecchierel canuto e bianco
del dolce loco ov’ha sua età fornita
e da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi traendo poi l’antiquo fianco
per l’estreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, e dal cammino stanco;

e viene a Roma, seguendo ‘l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand’io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.

Come un vecchio lascia la sua casa e la sua famiglia per andare a Roma in pellegrinaggio per vedere il volto di Colui che vedrà poi in Cielo, così il poeta cerca nelle altre donne i tratti dell’ amata.

Viene da chiedersi se il mettersi in pellegrinaggio verso Roma , da vecchi,fosse un’ usanza diffusa…e viene da chiedersi anche se ofsse un modo per risolvere il problema degli anziani: da pellegrini potevano contare sull’ assistenza delle persone di buon cuore che incontravano via via e nello stesso tempo toglievano alla propria famiglia il peso di una bocca in più…chissà se era veramente così…non ci avevo mai pensato prima….

Poesia: Il gelo (di Rosalia Calleri)

Il gelo (di Rosalia Calleri)
La terra era squallida e grigia
e grigio e monotono il cielo;
l’inverno riaprì la valigia
e poi disse al gelo:
«Ricama con mano gentile
quest’umida nebbia sottile! ».
Il gelo si mise al lavoro;
sui penduli rami tremanti profuse,
con arte, un tesoro
di perle e diamanti,
e, all’alba del nuovo mattino,
la terra fu tutta un giardino…….

Questa poesia è forse un po’ infantile nella personificazione dell’ inverno e del gelo , ma è molto delicata, distensiva e con un ritmo piacevole, quasi una canzone.

Mentre Novembre sta per finire….

E’ la prima mattina che vedo la brina quest’ anno. Qualche tempo fa, le prime brinate arrivavano all’ inizio di novembre; ora l’ effetto serra ha spostato di quasi un mese questo fenomeno che inargenta la terra e la fa brillare sotto il sole . Quest’ aria fredda e limpida mi richiama alla memoria una poesia del Pascoli, studiata in gioventù.

 

NOVEMBRE (di G. Pascoli)

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro senti nel cuore…

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile.
È l’estate, fredda, dei morti.

 

 

Poesia: Canzone d’ autunno.

Chanson d’automne.

 Les sanglots longs
Des violons
De l’automne
Blessent mon coeur
D’une langueur
Monotone.

 Tout suffocant
Et blême, quand
Sonne l’heure,
Je me souviens
Des jours anciens
Et je pleure,

 Et je m’en vais
Au vent mauvais
Qui m’emporte
Deçà, delà,
Pareil à la
Feuille morte.

Paul Verlaine : Canzone d’ autunno. (traduzione)

I singhiozzi lunghi dei violini  dell’ autunno mi feriscono il cuore con un languore monotono. Affannato e pallido quando suona l’ ora, io mi ricordo dei giorni passati e piango. E me ne vado nel vento maligno che mi trascina qua e là come una foglia morta.

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Quanta tristezza traspare da questa poesia! ma la musicalità dei versi, me l’ ha resa indimenticabile e fa sì che assomigli a una canzone  più che a una poesia, proprio come dice il titolo.

Cosa è mancato a Roma quel 16 ottobre.

70 anni fa nel ghetto di Roma si stava svolgendo il rastrellamento di 1022 ebrei da parte delle SS. Solo 25 di loro sopravvissero.  Mi pare che sia molto appropriato ricordare quei tragici avvenimenti con questa poesia di Bertold Brecht.

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Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,

e non c’era rimasto nessuno a protestare.

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Quando un diritto viene calpestato per una categoria di persone, possiamo essere certi che prima o poi lo stesso diritto verrà negato anche a noi. L’ indifferenza verso le sofferenze altrui è un grave peccato di omissione: forse ci creiamo un alibi dicendoci : cosa posso fare io? Non conto nulla…..Ma anche chi non conta nulla ha almeno una voce per gridare il proprio dissenso e la propria indignazione…..ed è questo che è mancato quel giorno a Roma…

Emigranti. (De Amicis)

Cogli occhi spenti, con le guance cave,     
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.

E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.

Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.

Ho ascoltato la lettura di questa poesia alla radio e credevo fosse stata composta in questi giorni, in  occasione della tragedia di Lampedusa, poi ho sentito il nome dell’autore e ho capito che i migranti di cui parla il De Amicis, sono i nostri compatrioti che lasciavano il nostro paese per sfuggire alla fame, alla miseria e al malgoverno .

I tempi cambiano , ma i volti e i gesti della sofferenza sono sempre gli stessi.

 

 

Il lupo e l’ agnello

 

Chi ha studiato un po’ di latino avrà certo tradotto almeno una volta questa favola di Fedro, che a sua volta l’aveva tradotta dal greco (Esopo)

Il lupo e l’agnello

 
Ad rivum eundem lupus et agnus venerantsiti compulsi; superior stabat lupus

longeque inferior agnus. Tunc fauce improba

latro incitatus iurgi causam intulit.

«Cur» — inquit — «turbulentam fecisti mihi

aquam bibenti?». Laniger contra timens:

«Qui possum, quaeso, facere, quod quereris, lupe?

A te decurrit ad meos haustus liquor».

Repulsus ille veritatis viribus:

«Ante hos sex rnenses male, ait, dixisti mihi».

Respondit agnus: «Equidem natus non eram».

«Pater hercle tuus, ille inquit, male dixit mihi».

Atque ita correptum lacerat iniusta nece.

Haec propter illos scripta est homines fabula,

qui fictis causis innocentes opprimunt.

 

 

Traduzione   

Un lupo e un agnello, erano giunti al medesimo ruscello spinti dalla sete; il lupo era superiore (in un luogo più alto) l’agnello di gran lunga in basso. Allora il brigante sollecitato dalla sua insaziabile fame suscitò un pretesto per litigare. «Perché», disse, « mi hai reso torbida l’acqua  che bevevo?». L’agnello, timoroso, di rimando : «In che modo posso di grazia fare ciò che lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie labbra». Quello spinto dalla forza della verità: «Hai sparlato di me, sei mesi fa». L’agnello rispose: «In verità non ero nato». «Tuo padre in verità, quello aveva sparlato di me». E così afferra l’agnello e lo sbrana per un’ingiusta morte. Questa favola è stata scritta per quegli uomini, che opprimono gli innocenti con finti pretesti.

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Il sacerdote questa sera, commentando la parabola del ricco e del povero Lazzaro, ha citato questa favola, che a me pare sia perfetta per descrivere quello che sta accadendo qui da noi: il prepotente di turno, riconosciuto ufficialmente come corruttore di giovani donne e di giudici e come evasore fraudolento, fa cadere il governo e dice che è colpa di coloro che pretendono il rispetto della legge. Il guaio è che a fare la parte del povero agnello siamo tutti noi!!!!!