Il prof. Porro ci ha parlato del nume tutelare della contestazione del 1968: Herbert Marcuse, ma prima ci ha ricordato cosa abbia significato quell’anno che tanti di noi ricordano forse un po’ confusamente.
Il ’68 è una rivoluzione fallita, che in Italia ha fatto presagire gli anni di piombo. Il suo obiettivo non è la conquista del potere politico, ma la trasformazione della quotidianità, la lotta contro l’autoritarismo, l’ultima lotta contro “il padre”. I giovani che l’hanno creata sono quelli nati dopo la fine della guerra, quelli del baby-boom, quelli che vivono con l’incubo del pericolo atomico e che nutrono un fortissimo spirito libertario.
Nelle università italiane nasce il Movimento Studentesco (Capanna era il suo leader) che si ispira a Stalin e all’URSS.
Il leader degli intellettuali di quegli anni era il filosofo Marcuse, che veniva dalla SCUOLA di FRANCOFORTE, fondata da alcuni giovani filosofi tedeschi, per lo più di origine ebraica; con l’avvento di Hitler al potere, essi fuggono negli USA, per non finire nei campi di rieducazione.
Anche Marcuse fugge, ma dice di aver lasciato un paese totalitario solo per piombare in un altro sistema altrettanto totalitario, dominato dal potere della tecnologia e dalle leggi dell’economia. Qui gli uomini si illudono di essere liberi, ma sono condizionati da un oppressivo sistema produttivo: efficacia ed efficienza sono gli unici criteri cui la società obbedisce; la RAGIONE STRUMENTALE si occupa solo dei mezzi e non dei fini, portando inevitabilmente alla barbarie ( i lager sono l’esempio migliore di efficienza: col minimo dispendio di risorse si ottiene il massimo dei risultati).
Rifacendosi alla teoria di Freud che vede nell’educazione il modo per reprimere gli impulsi primordiali, Marcuse afferma che nelle società occidentali non solo c’è la repressione degli impulsi, ma anche la costrizione della prestazione. Il lavoro diventa sempre più alienante. Nell’URSS d’altra parte vige una forma di capitalismo burocratico oppressivo come il capitalismo occidentale.
Siamo tutti condizionati dalla pubblicità e dalla propaganda, siamo più benestanti, ma oppressi da bisogni indotti e il sistema produttivo genera il bisogno di guerre per continuare a produrre…
Marcuse ipotizza che saranno gli ultimi, gli emarginati, i deboli, i disabili, gli stranieri, che, non appartenendo al sistema, potranno attaccarlo dall’esterno per chiedere il riconoscimento dei loro diritti.
Sempre restando in tema di ’68, il prof. Galli, ci ha aiutato a ripercorrere i momenti cruciali di quel maggio francese, che non ha portato a risultati immediati eclatanti, ma che ha lentamente e profondamente cambiato il nostro modo di vivere.
Negli anni ’60 i giovani non si riconoscono più nei valori “borghesi” che hanno sempre scandito la vita dei loro padri e danno vita a vari movimenti di ribellione: hippies, capelloni, musica rock, libertà sessuale, blue-jeans…). Il contrasto generazionale diventa più forte come mai prima.
I primi segnali partono nel 1964 dall’università di Berkeley in California, dove gli studenti reclamano di poter influire sulla gestione dell’ateneo; nel 1967 anche nelle università italiane si manifestano forti segnali di disagio: il grande aumento degli iscritti nelle varie facoltà ( dovuto alla diffusione di un nuovo benessere, per cui anche i figli degli operai hanno la possibilità di accedere agli atenei), non era stato accompagnato da un imprescindibile adeguamento di metodi e strutture.
Il periodo noto come “maggio francese” ha inizio a Nanterre, dove viene chiesto l’intervento della polizia per reprimere le manifestazioni degli studenti che chiedono di potersi riunire nelle aule universitarie per discutere i loro problemi. Questo scatena un vortice sempre più ampio di proteste, che esce dalle Università e coinvolge in breve tutta la società francese, fino a bloccare tutto il paese e ad isolarlo dal resto del mondo.
De Gaulle, allora al potere, arriva addirittura a sciogliere le camere e a indire nuove elezioni. Così alla fine di giugno il popolo francese, in maggior parte residente nelle campagne, rimaste fuori dal movimento di protesta, sancisce la vittoria di De Gaulle. L’anno seguente il generale si dimette e il suo successore, Pompidou, si affretta a riformare le Università (cosa che non avviene in Italia, forse per miopia della classe dirigente, ma anche per le diverse condizioni politiche del nostro paese)
E’ stato per me (e penso anche per altri ) un vero piacere, poter rivivere le amosfere della mia gioventù e poter ripercorrere quegli avvenimenti (che in gioventù mi hanno solo sfiorato perchè troppo immersa nei miei problemi esistenziali) e poterli comprendere meglio. Grazie professor Porro e professor Galli! Grazie UTE!!!