Ute: Giuditta Bellerio Sidoli (A. D’Albis)- La mano (Diana)

Giuditta Bellerio SidoliLa Professoressa Chiesa ci parla oggi di un’altra donna, eroina invisibile del Risorgimento, militante repubblicana, compagna dimenticata di Giuseppe Mazzini: Giuditta Bellerio Sidoli.

Prima di introdurre la figura di questa eroina, che nessuno più ricorda e che non viene citata nei libri di Storia, la docente espone in breve la vita e il pensiero politico di Giuseppe Mazzini.

Nasce a Genova nel 1805 e viene educato ai principi morali del Giansenismo dalla madre, che influisce sull’educazione del figlio e sarà sempre una sua instancabile sostenitrice.

Dopo essersi iscritto a Medicina, per compiacere il padre, Giuseppe Mazzini cambia facoltà, si iscrive a Legge, si laurea e diventa carbonaro.

A causa delle sue attività sovversive, fugge in Francia dove, nel 1831, fonda la Giovine Italia, associazione politica che aveva come obiettivo quello di riunire gli stati italiani in una sola repubblica. In seguito fonda anche la Giovane Europa. Mazzini crede nell’ideale repubblicano, nel suffragio universale e in una maggiore giustizia sociale.

Purtroppo, tutti i moti mazziniani falliscono. Mazzini si sente sconfortato ed entra in uno stato di crisi nota come “tempesta del dubbio”. Egli si sente responsabile di aver sacrificato tante vite in tentativi destinati al fallimento. Solo la madre lo sostiene moralmente.

La docente ci dice che, probabilmente, la causa del fallimento dei moti mazziniani è stata l’incapacità di Mazzini di coinvolgere i contadini e la borghesia.

Pur non andando d’accordo con Cavour, che vuole l’Italia unita monarchica, Mazzini appoggia la spedizione dei Mille di Garibaldi che considera una valida opposizione a Cavour.

Mazzini, ci dice ancora la professoressa, fonda il primo Partito d’Azione che ha ispirato il Partito d’Azione nato nel 1942 e l’attuale Partito Repubblicano Italiano.

Dopo questa breve presentazione del grande patriota italiano del Risorgimento, la docente introduce la figura della sua “dimenticata” compagna: Giuditta Bellerio Sidoli.

Giuditta nasce a Milano nel 1804. Nel 1820, a soli 16 anni, sposa Giovanni Sidoli, ricco possidente terriero emiliano, iscritto alla Carboneria modenese.

Per sfuggire agli arresti della polizia austriaca, Giovanni fugge, con la famiglia, in Svizzera. Oltre alla moglie Giuditta, c’è la seconda figlia, Corinna, mentre la primogenita rimane in Italia affidata alla famiglia paterna.

In Svizzera hanno altri due figli, ma nel 1828 Giovanni muore per una grave malattia ai polmoni.

Dopo la morte del marito, le vengono tolti i figli dal suocero che rifiuta di far allevare la sua discendenza da una ribelle all’autorità legittima. Nonostante i periodici tentativi, la madre non riesce a rivederli per otto anni.

Nel 1831 rientra in Italia per partecipare ai moti del 1831 in Emilia, su invito di Ciro Menotti.

Dopo il fallimento di questi moti, fugge a Lugano e poi a Marsiglia. I figli rimangono con il suocero.

Nella sua casa di Marsiglia ospita molti esuli italiani, tra i quali Giuseppe Mazzini.

Diventa amante di Mazzini e, forse da lui ha un figlio, Adolphe, che muore in tenera età.

Oltre ad amante, collabora con Mazzini alla fondazione del giornale politico “La Giovine Italia”, di cui diventa responsabile e contabile.

Nel 1832 una spia li denuncia e vengono espulsi dalla Francia. Si rifugiano a Ginevra, dove concludono la loro relazione sentimentale.

Tuttavia, i due restano sempre in contatto epistolare.

Giuditta torna in Italia perché ha nostalgia dei figli.

Sotto falso nome si reca a Firenze dove, scoperta, rivela i suoi piani per evitare l’espulsione. Ottiene, così, di rimanere ancora un poco.

Il governo granducale spera, infatti, che intercettando la sua corrispondenza, si riesca a bloccare le lettere di Mazzini.  Nonostante la stretta sorveglianza della polizia, a Firenze Giuditta incontra Gino Capponi, la terza importante figura maschile della sua vita. Capponi, infatti, si innamora di lei, non corrisposto, ma la protegge e l’aiuta.

Giuditta parte ancora per Lucca con falso passaporto, ma il 10 settembre 1834 viene arrestata al confine toscano e ricondotta a Firenze. L’anno dopo soggiorna a Napoli poi a Roma, infine entra di nascosto a Modena per incontrare i figli, ma la intercettano e la rimandano indietro.

Le sue peregrinazioni riprendono: ritorna a Lucca, a Livorno, poi a Genova per conoscere la madre di Mazzini Maria Giacinta Drago.

Dalla duchessa Maria Luisa ottiene di dimorare a Parma, potendo riabbracciare di quando in quando i figli al confine.

A Parma apre un salotto culturale e cerca di educare i figli agli ideali repubblicani.

Nel 1839 muore il suocero, ma solo nel 1842 si ricongiunge con i figli a Parma.

Nel 1845 si incontra con Mazzini a Firenze.

Dopo la morte della duchessa di Parma, il successore, reazionario, ordina la persecuzione di Giuditta.

Viene arrestata e incarcerata. Poi grazie all’intervento del generale Gyulai che sostituisce Radetzky, viene liberata.

Trasferitasi definitivamente a Torino sul finire del 1852, Giuditta dà vita ad un salotto politico frequentato dalle maggiori personalità risorgimentali dell’epoca e contribuisce a preparare il terreno culturale per la seconda guerra di Indipendenza.

Giuditta si ammala gravemente di tubercolosi e, il 28 marzo 1871, si spegne a Torino, stroncata da una polmonite, con in mano una lettera di Mazzini e dopo aver rifiutati i sacramenti religiosi.

Viene sepolta accanto alla tomba della figlia Corinna, morta qualche anno prima.

Giuseppe Mazzini morirà due anni dopo.

La professoressa conclude la sua lezione leggendo un brano molto commovente tratto dall’ultima lettera scritta da Mazzini a Giuditta e nominando altre donne “mazziniane” che hanno portato avanti gli ideali di uguaglianza tra uomini e donne e di emancipazione femminile.

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Nella seconda ora di lezione oggi il dr. Lissoni ha cominciato a parlarci di un tema che si annuncia di grande interesse: la mano.

Per introdurci all’argomento il nostro docente  ci propone un quiz fotografico in cui compaiono mani famose, particolari di altrettanto famose opere artistiche; poi richiama degli aforismi di pensatori antichi e moderni. Anassagora affermava che siamo intelligenti perchè abbiamo le mani, mentre Aristotele sosteneva che abbiamo le mani perchè siamo intelligenti.

Charles Bell, molti secoli dopo studiò l’anatomia della mano e concluse che essa è così perfetta  che può avere solo un’origine divina. Dopo di lui Richard Owen osservò  le analogie tra arti animali e arti umani; tali studi furono poi ripresi da Darwin che si convinse che tali analogie erano dovute alla comune origine di tutti gli esseri viventi.

E’ di 15 anni fa il ritrovamento nel nord del Canada dello scheletro di Tiktaalik presumibilmente il primo pesce che è uscito dall’acqua per vivere sulla terra ferma: le sue pinne si erano trasformate in zampe (375 milioni di anni fa).

L’abilità delle mani nel compiere sia prese di forza, sia movimenti delicatissimi  deriva dalla complessa struttura della mano, fatta di ossa, nervi, vasi sanguigni e dalla opponibilità del pollice (caratteristica che è presente solo nell’uomo); ogni più piccolo movimento coinvolge un numero incredibile di articolazioni e muscoli.

Le nostre mani adempiono a molte funzioni, oltre a quelle  finalizzate al soddisfacimento delle necessità di vita  quotidiane. I sordomuti le usano per comunicare, i ciechi  per leggere e conoscere ciò che li circonda  e tutti noi le usiamo per esprimere emozioni e situazioni diverse; ricordiamoci però che certi gesti assumono significato diverso in  paesi con tradizioni culturali differenti dalle nostre.

Sapete  qual è l’origine del segno di OK? Durante la guerra di secessione, al ritorno da incursioni pericolose si usava quel gesto per dire; Zero Killed, cioè nessun morto.

Anticamente si usavano unità di misura derivate dalla mano e dal braccio: il pollice, la spanna, cubito.

Il mancinismo dipende da una diversa conformazione delle strutture cerebrali  e fino a pochi decenni fa era ritenuto un handicap. Molti personaggi illustri del presente e del passato sia nell’arte che nelle scienze erano mancini. La percentuale dei mancini si è mantenuta costante fin dall’antichità, perchè in certe situazioni, specialmente nello sport o nei combattimenti corpo a corpo,  il mancinismo può rappresentare può rappresentare un vantaggio.

Lezione veramente divertente: grazie, dr. Lissoni!