Giace lassù la mia infanzia.
Lassù in quella collinach'io riveggo di notte,
passando in ferrovia,
segnata di vive luci.
Odor di stoppie bruciate
m'investe alla stazione.
Antico e sparso odore
simile a molte voci che mi chiamino.
Ma il treno fugge. Io vo non so dove.
M'è compagno un amico
che non si desta neppure.
Nessuno pensa o immagina
che cosa sia per me
questa materna terra ch'io sorvolo
come un ignoto, come un traditore.
In un paese come il nostro, in cui si è avuta e si ha tutt'ora una intensa migrazione interna ed esterna, chissà quanti hanno provato questo sentimento duplice che il poeta rievoca: da una parte la grande nostalgia per la terra natale, per gli amici dell'infanzia, per gli odori che hanno accompagnato quegli anni; dall'altra parte la vita che ti ha portato via da quei luoghi continua a tenertene lontano e non ti pare di appartenere più a nessuna terra.
La speranza è un essere piumato che si posa sull’anima, canta melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l’armonia, e solo una tempesta violentissima potrebbe sconcertare l’uccellino che ha consolato tanti.
L’ho ascoltato nella terra più fredda e sui più strani mari. Eppure neanche nella necessità ha chiesto mai una briciola – a me.
La speranza si posa sull’anima e la riempie di melodia: bellissima questa metafora. E’ la speranza che ci permette di attraversare le tempeste più impetuose e di continuare a vivere senza lasciarcene travolgere.
Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe dei suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Le immagini estive evocate dal Montale sono suggestive e ci dipingono un momento in cui la quiete del paesaggio, immerso nella calura di un primo pomeriggio assolato, è come sottolineata dai fremiti di vita di tanti piccoli esseri viventi che non interrompono i loro ritmi di vita.
Tutto questo però non rallegra il poeta che paragona la sua vita a un muro da scalare, sormontato da cocci di bottiglia.
Un mattino di giugno, troppo presto
per svegliarsi, troppo tardi
per riprendere sonno.
Devo uscire nel verde gremito
di ricordi, e mi seguono con lo sguardo.
Non si vedono, si fondono totalmente
con lo sfondo, camaleonti perfetti.
Così vicini che li sento respirare
benché il canto degli uccelli
sia assordante.
Questa poesia è di Tomas Tranströmer (1931 – 2015) è un poeta psicologo svedese che nel 2011 ha ricevuto il Premio Nobel. E’ bella questa personificazione dei ricordi, anche se nella poesia si avverte quasi un senso di oppressione derivante dalla loro presenza continua già dal mattino presto; nemmeno il fresco verde degli alberi di giugno, nè il canto assordante degli uccelli possono farli dimenticare.
Il poeta erbese Francesco Maria Gottardi, in questa poesia racconta bene il dramma di chi subisce le conseguenze della guerra ed è costretto a fuggire dalla propria casa, dalla propria terra. Dovremmo ripensare a quei tempi, quando vediamo arrivare altri profughi provenienti oggi da altre terre: la loro sofferenza non può essere diversa da quella raccontata così bene dal nostro poeta.
Dopo un inverno segnato da una lunga siccità che ha visto fiumi e laghi toccare i loro livelli minimi, la primavera ci regala giornate di pioggia: un po’ grigie, un po’ uggiose, ma certamente provvidenziali. E’ una pioggia buona e gentile, qui da noi… invita alla riflessione, ai ricordi. E’ forse in una giornata come questa che Alda Merini ha scritto questi versi.
ASCOLTAVO LA PIOGGIA.
Ascoltavo la pioggia
domandare al silenzio
quale fragile ardore
sillabava e moriva.
L’infinito tendeva
ori e stralci di rosso
profumando le pietre
di strade lontane.
Mi abitavano i sogni
odorosi di muschio
quando il fiume impetuoso
scompigliava l’oceano.
Ascoltavo la pioggia
domandare al silenzio
quanti nastri di strade
annodavano il cuore.
E la pioggia piangeva
asciugandosi al vento
sopra tetti spioventi
di desolati paesi.
“… Alle selve, alle foglie dei boschi è dolce primavera; a primavera
gonfia la terra avida di semi.
Allora il Cielo, padre onnipotente, scende
con piogge fertili nel grembo della consorte,
immenso si unisce all’immenso suo corpo,
accende ogni suo germe. Gli arbusti remoti risuonano
del canto degli uccelli, e gli armenti ricercano Venere,
e i prati rinverdiscono alle miti aure di Zèfiro.
E i campi si aprono; si sparge il tenero umore;
ora al nuovo sole si affidano i germogli.
E il tralcio della vite non teme il levarsi degli austri
né la pioggia sospinta per l’aria dai larghi aquiloni,
ma libera le gemme e spiega le sue foglie.
Giorni uguali e così luminosi credo brillarono
al sorgere del mondo; fu primavera, allora.
primavera passava per la terra. Ed Euro
trattenne il soffio gelido quando i primi
animali bevvero la luce, e la razza degli uomini
alzò il capo nei campi aspri, e le belve
furono spinte nelle foreste e le stelle nel cielo .
(Virgilio, GEORGICHE -libro II)
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Queste parole che vengono da un tempo lontano (quasi 2000 anni fa), parlano di una primavera che risveglia la natura, il Cielo e la Terra si uniscono a generare di nuovo la vita grazie alla pioggia benefica……