Nevicate.

Quando ero piccola io,  quasi ogni anno  le nevicate erano abbondanti e seppellivano la pianura sotto un pesante mantello bianco che addolciva i contorni delle cose e diffondeva nell’ aria una luce diversa, anche di notte.
Ricordo come mi piaceva stare in casa vicino alla stufa o vicino al camino e guardare fuori dalla finestra la neve che scendeva giù fitta, mentre il papà entrando col suo tabarro imbiancato faceva entrare una zaffata d’ aria fredda che ti faceva apprezzare ancor di più il tepore della casa e intanto diceva:
– Se continua così ne verrà una gamba…..-
Oppure: – Col freddo che fa questa ce la porteremo fino alla primavera….
Intanto io preparavo delle briciole di pane da lanciare sulla neve per gli uccellini affamatissimi, ma si sapeva che molti preparavano invece delle vere e proprie trappole per catturarli e mangiarseli con la polenta, ma allora non ci si scandalizzava molto per questo.
C’ era poi chi aveva avuto modo in autunno di fare la sapa (il mosto cotto) e con la neve ora si preparava una granita speciale o almeno così dicevano (io non l’ ho mai assaggiata).
Era bello fin che la neve cadeva, ma poi cominciavano i disagi: la spalatura, l’ acqua di neve che ti bagnava le scarpe e penetrava a gelarti i piedi e non c’ erano mezzi diversi che il camminare a piedi, mentre sprofondavi lasciando le tue impronte nella neve che crocchiava sotto di te.