UTE: La lunga vita delle parole: virtus e confine – Ora zio Sala e Piero Collina: due poeti dialettali

Oggi la prof. Meggetto ci ha parlato della parola VIRTU’: è una parola oggi poco usata a causa del relativismo imperante e della conseguente caduta di valori assoluti. Nei secoli scorsi (‘700/800), al contrario molte opere letterarie erano proprio incentrate sulla difesa della virtù.  Oggi si parla solo di virtù delle erbe o di realtà virtuale.

Etimologia della parola VIRTUS: essa deriva da VIR (maschio); e pertanto stava a significare fortitudo, disprezzo del dolore e della morte; virtuoso era l’uomo coraggioso, eroico, virile. Nel gergo militare virtus significava valore in battaglia.

Per Machiavelli la virtù del politico è la capacità di saper prevedere le conseguenze delle proprie mosse neutralizzando anche i capricci della fortuna; è la qualità della volpe.

La virtù dei filosofi è equilibrio dell’anima, è identificabile con la ragione; il suo contrario è il vizio.

Per i Latini, le virtù erano: liberalitas (generosità nel fare del bene agli altri), giustizia, fortitudo, prudentia, temperantia ( queste ultime 4, con S. Ambrogio, sono poi diventate le virtù cardinali dei cristiani).

CONFINE: oggi a questa  parola viene attribuito il significato di barriera invalicabile.  Anticamente si usava il termine LIMES, che indicava la frontiera difesa militarmente; col termine LIMEN invece si indicava la soglia, la zona che separa uno spazio fisico o spirituale da un altro spazio che si trova dall’altra parte e al quale il limen consente di accedere. Il contrario di limes è CONTATTO, che implica contaminazione di cultura, scambio, confronto. Il rifiuto del confronto genera violenza.

CONFINE deriva da cum (con)+finis (la fine o il fine), pertanto il significato originario doveva essere quello di “finire insieme”. Un sinonimo di confine è la parola frontiera, che deriva da frons esta pertanto a indicare il luogo in cui ci si trova di fronte all’altro.

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Nella seconda ora di lezione i docenti Ghioni, Vasirani e Gottardi hanno concluso il loro piacevolissimo  ciclo di lezioni, leggendoci alcuni brani della traduzione in dialetto comasco dei Vangeli di Orazio Sala e alcuni brani dei “Promessi Sposi”, sempre traduzione dialettale, di Piero Collina: due autori accomunati dallo stesso amore per la lingua comasca. Per entrambi infatti la lingua di un popolo non è solo un modo di esprimersi, ma il forziere che contiene i suoi tesori culturali. Entrambi hanno saputo tradurre nelle loro opere una grande sensibilità d’animo, esprimendosi con la spontaneità, l’immediatezza e la genuinità propria della gente semplice (semplicità non è sinonimo di rozzezza, intendiamoci.

Come detto, con questa lezione si conclude il ciclo di lezioni sulla letteratura dialettale ed è con vero piacere che abbiamo salutato con gratitudine e con un cordialissimo arrivederci all’anno prossimo i nostri tre valentissimi docenti.