Il mal d’ Africa e i suoi mali.

Non so se si parla ancora di mal d’Africa, cioè di quella nostalgia, di quella voglia di tornarci, che coglie coloro che l’hanno conosciuta e se ne sono poi allontanati.

Quand’ero piccola c’era un nostro vicino che era stato soldato in Africa e che affermava di sentirne ancora tanto il calore, che anche d’inverno lo si vedeva andare in giro in maniche di camicia.

Ora di Africa si parla ben poco; i nostri giornali hanno una visione del mondo molto limitata: in genere si occupano quasi esclusivamente di politica di casa nostra o al massimo di quella europea, ma dedicano ben poca attenzione al continente nero.

Chi riesce a tenerlo d’occhio è certamente Romano Prodi e lo dimostra questo suo articolo pubblicato ieri sul “Messaggero” non per parlare di mal d’Africa, ma per parlare di uno dei tanti mali dell’Africa.  E’ la nostra dirimpettaia sulle rive del Mediterraneo e l’evoluzione più o meno positiva e pacifica  dei tanti popoli che la abitano, determinerà anche il futuro dei paesi europei: vale la pena dunque occuparsene e darsi da fare per farne un continente pacificato e in grado di contribuire, con le sue infinite risorse, al benessere della comunità mondiale.

Giovanni e l’ordine pubblico.

Dopo cena, si sta conversando sui fatti dell’attualità ed è inevitabile parlare delle manifestazioni anti green-pass che da molto tempo movimentano e agitano le piazze di tante città nei fine settimana.

Siamo tutti d’accordo nel biasimare questi che pretendono di non vaccinarsi gratuitamente e vogliano poi essere curati gratuitamente con grande dispendio e spreco di risorse pubbliche; tutti approviamo la scelta di disperdere i manifestanti in modo energico, deciso.

Giovanni (7 anni) parrebbe non ascoltare, ma ad un certo punto interviene chiedendo:- Come hanno fatto a mandare via la gente? – Io rispondo:- L’hanno innaffiata per bene e la gente ha dovuto correre via per cambiarsi gli abiti fradici!-

Alla mente di Giovanni certamente affiorano i ricordi estivi, quando ingaggiava  battaglie all’ultimo spruzzo  coi cugini ed esclama: – Ci sarei andato anche io con la mia pistola ad acqua ad aiutare la polizia!-

Tutti scoppiamo a ridere: è molto divertente pensare ai poliziotti impegnatissimi a fronteggiare la folla con le pistole ad acqua…..Non so quanto sarebbe popolare Giovanni come ministro dell’Interno….

UTE: Mario Rigoni Stern (sintesi di A. D’Albis) – Bioetica animale ed ambientale.(sintesi di Diana)

Il professor Porro ci propone una lezione su Mario Rigoni Stern che vuole essere un invito alla lettura o alla rilettura delle sue opere.

Mario Rigoni Stern è conosciuto soprattutto per il suo romanzo:” Il sergente nella neve”, pubblicato nel 1953.

Questo libro è il racconto della ritirata dalla Russia, durante la Seconda Guerra Mondiale, di uno sconosciuto sergente maggiore degli Alpini, nato ad Asiago il 1° Novembre 1921.

Con questo libro, lo scrittore vince un importante premio letterario. Nel’62 pubblica un altro libro: ”Il bosco degli Urogalli” (“urogallo” è il “gallo cedrone”) e da qui comincia la sua carriera di scrittore che lo porterà ad avere una certa agiatezza negli anni ’70.

Il prof. Porro ci dà alcune notizie riguardo alla biografia di questo autore, perché ci serve per meglio comprendere le sue opere.

Infatti, in esse, egli racconta principalmente le sue esperienze personali, soprattutto quelle vissute durante la guerra, in uno stile semplice e comprensibile.

Il professore aggiunge che Mario Rigoni Stern non è un romanziere (i suoi libri non sono “romanzi”, ma “racconti lunghi”), ma è un “NARRATORE”.

Cosa significa essere un “narratore”?

Il professor Porro ci spiega che il “narratore” è lo scrittore che racconta, nelle sue opere, le sue esperienze di vita, le tragedie che ha vissuto.

Inoltre Rigoni Stern è un “narratore” non solo perché racconta le sue esperienze di vita, ma anche perché riporta ciò che ha ascoltato, durante la sua infanzia, dai suoi parenti.

Spesso l’autore ricorda, nelle sue opere, il mondo in cui è nato, l’altipiano di Asiago, dove la gente, poveri pastori e contadini, usava riunirsi alla sera nelle stalle davanti alle vacche che emanavano calore perché non potevano permettersi la legna e raccontavano i loro ricordi. Continue reading “UTE: Mario Rigoni Stern (sintesi di A. D’Albis) – Bioetica animale ed ambientale.(sintesi di Diana)”

Storie della Bibbia: Il mandato.

Mosè rimane presso Ietro, sposa una delle sue figlie e (lui cresciuto come un principe)  diventa il pastore che accudisce il  bestiame del suocero. Un giorno…..

roveto-ardente-secondo-chagall-large…..Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. 5Riprese: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

….. 9Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”. 11Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?”. 12Rispose: “Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte”.

L’eternità di Dio viene proclamata in quelle parole di grande effetto: “Io sono il Dio di Abramo, di Isacco….”

“Io sarò con te” sono le parole che ogni credente dovrebbe sempre ripetere a se stesso: chi crede non è mai solo, perchè avverte accanto a sé, soprattutto nei momenti difficili, una presenza che conforta e sostiene.

Al Milite Ignoto.

Bello e doveroso onorare il Milite Ignoto: rappresenta tutti i giovani morti sui campi di battaglia e sepolti in fosse comuni o comunque mai riconsegnati alle loro famiglie per un ultimo saluto e per una pietosa sepoltura.

Sulla sua tomba ogni madre, ogni sposa, che ha aspettato invano per giorni e notti interminabili notizie di quel soldato partito e mai più tornato, può pregare dando a quelle spoglie il caro nome che porta nel cuore e sciogliere in pianto un dolore che non finirà.

Vergogna!!!

Dovevano sentirsi molto furbi quelli che percepivano il reddito di cittadinanza pur essendo proprietari di vari appartamenti o titolari di imprese!!! Chissà che goduria vedersi arrivare nelle tasche soldi rubati….

Quelli che ora sono stati scoperti si sentono ancora furbi? Dovrebbero chiudersi in casa per la vergogna: hanno derubato la collettività intera. Chi ruba in una casa, danneggia poche persone, chi ruba alla collettività danneggia tutti e soprattutto i più bisognosi, quelli che hanno davvero diritto all’assistenza e che potrebbero averne maggiori benefici se i disonesti non sottraessero loro le risorse a cui avrebbero diritto.

Chi si è vigliaccamente appropriato di soldi che non gli spettavano, non solo dovrebbe restituirli con gli interessi, ma dovrebbe finire in galera come chi rapina le banche.

Film: Viaggio in Inghilterra.

E’ ambientato a Oxford, tra i vecchi palazzi della locale famosa Università.

Il professor Stevens vive da sempre tra quelle mura, inserito perfettamente in una routine priva di imprevisti. E’ un affermato scrittore e conferenziere, che va affermando quanto il dolore sia importante per forgiare le anime. E’ profondamente religioso e vive con suo fratello che ne condivide la quotidianità.

Un giorno viene dall’America una poetessa che lo vuole conoscere, ma tra di loro non scocca la scintilla della simpatia. Dopo qualche tempo la donna torna in Inghilterra, col figlioletto (è divorziata da poco) e chiede al prof. Stevens di sposarla solo civilmente per poter avere il permesso di soggiorno, ma nulla cambierà tra di loro. Il professore accetta, ma resta chiuso nella sua vita senza emozioni, forse più per paura che per scelta.

Dopo qualche tempo lei cade malata: la diagnosi è terribile, il cancro non le lascia molto tempo da vivere. A quel punto il professore si scuote, sente di non voler perdere quella donna che lo ama e la assiste con grande amore, dopo averla sposata con rito religioso.

A quel punto però la sua fede vacilla: il dolore non gli pare più così giustificato. I due cercano di vivere al meglio il poco tempo a disposizione concedendosi momenti di grande unione spirituale. Ma il destino della donna non perdona e alla sua  morte  Stevens si prende cura del figlio di lei, accettando il dolore della separazione che è indivisibile dall’amore.

Il personaggio del professore è interpretato da A. Hopkins alla sua maniera; come “In quel che resta del giorno” pare prima inattaccabile nella sua fredda vita fatta di abitudini consolidatissime, poi è di un’intensità commovente (io ho versato qualche lacrimuccia) nell’esprimere la tenerezza infinita per la donna che ha imparato ad amare.